Grazie...

... a quelli che partono con la voglia di stare, a quelli che vivono il Vangelo prima di predicarlo,
a quelli che non smetteranno mai di sognare, a quelli che l'Amore è solo con la maiuscola,
a quelli che si accettano come sono, a quelli che piangono ad ogni partenza,
a quelli che Africa e Gioia si confondono ogni giorno, a quelli che vivono di emozioni,
a quelli che non smettono di camminare, a quelli che non si abbandonano mai,
a quelli che pregano, a quelli che sul piedistallo non ci vogliono stare, a quelli che Dio non è morto,
a quelli che si vive anche senza moda, a quelli che pensano con il cuore,
a quelli che non scelgono per comodità, a quelli che soffrono e poi ti guardano negli occhi più ricchi di prima,
...e anche a quelli che "Gianpi ci hai rotto con questi ringraziamenti"

soggiorno al Chachacha

Rientrato a Lusaka, ho ancora due giornate prima del volo di rientro per l’Italia. Pernotto al Chachacha: è una buona sistemazione, davvero economica (un terzo rispetto al Chingola Motel, e qui ci sono acqua corrente in bagno e serrature alle porte!!). Appena entri dal cancello di ingresso, ti trovi davanti un grazioso compound con tanto di piscinetta e piano bar all’aperto. Poi un piccolo edificio che fa da reception, cucina e con una stanza doppia. Nel giardino retrostante è poi diviso in piazzole per le tende, due bungalof come dormitori, un area adibita a lavanderia, un edificio con un paio di stanze da quattro, bagni e docce. È una sorta di campeggio nel centro di Lusaka e, visto il colore della pelle dei clienti, sembra un piccolo mondo bianco nel centro di Lusaka.
Altro punto a favore per il Chachacha è dato dalla cucina. Il fritto non è annegato nell’olio, il kechup non viene allungato con l’acqua e quando ordini un pasto, te lo portano all’ora accordata.

Viaggio a Mutanda

Due giorni, in un totate esatto di 20 ore, sono abbastanza perchè il mio povero sedere inizi ad odiarmi per averlo lasciato appoggiato, schiacciato, piatto o di lato (destro o sinistro, dopo l’ennesima volta che cambi posizione, poco importa) sul sedile di un bus. Non mi è stato ad ascoltare nemmeno quando, con tutta pazienza, gli ho spiegato che non c’erano alternative per spostarsi da Chikuni a Mutanda. Dal sud al nord dello Zambia; si è girato dall’altra parte e, offeso, mi ha risposto con un sospiro... non ho avuto altra scelta che aprire il finestrino per cambiare aria.
Viaggio lungo certo, ma alla fine è andato tutto bene, no?

UNO) Il bus che doveva arrivare a Sowezi si è fermato a Chingola. Ed ovviamente ti informano del cambiamento di programma solamente quando alle 22.30 il bus fa sosta a Kitwe e il conduttore chiede “Chi deve andare a Sowezi?”. Io alzo la mano, e facilmente mi rendo conto che tra i passeggeri sono l’unico diretto a Sowezi. La cosa non è certo confortante: l’autista, il conduttore ed io per le tre ore di viaggio notturno da Chingola a Sowezi. Fortunatamente il conduttore risolve il problema decidendo seduta stante che il bus arriverà solo a Chingola, città che avremmo raggiunto in un paio d’ore. Mi restituisce la differenza del biglietto ed inizia ad armeggiare con la radio.

DUE) Un consiglio, se vi fermate a dormire a Chingola, evitate di pernottare al “Chingola Motel”. Sono certo che non farete fatica a trovare qualcosa di migliore e ne sarete soddisfatti. Non è che dovete andare all’Hilton o al super hotel dieci stelle da 200 dollari a notte, ma scegliete almeno un posto dove se alla reception vi dicono “bagno in camera” intendono con acqua corrente. E se alla reception vi danno le chiavi della camera, vi aspettate che la serratura ci sia e funzioni...

TRE) Il secondo giorno, a Chingola, le classiche tre ore di attesa prima di lasciare la città con il mini bus. Perchè ovviamente prima di partire bisogna aspettare che il bus si riempia. Per la qual cosa può essere necessaria una mezz’ora o una mezza giornata. E quando sei il primo, l’attesa è snervante. Cammini lungo la stazione finquando non ti stanchi di essere continuamente fermato dai venditori ambulanti o da gruppi di ragazzi che non hanno meglio da fare che oziare alla stazione e rompere ------- ai passanti. Pare che i bianchi siano i preferiti. Quindi ti siedi, ma ovviamente il tempo inizia a trascorrere ancora più lentamente. Provi a cercare qualcosa da bere ma trovi solo CocaCola e birra. Guardi l’ora, guardi il bus ancora mezzo vuoto e ti chiedi se riuscirai a partire... e già lo spettro di un’altra notte a Chingola inizia ad apparire ai tuoi occhi.

Viaggio “particolare” insomma, ma ne è valsa la pena: il soggiorno a Mutanda è stato di quelli piacevoli, come lo è ogni momento condiviso con gli amici. Se poi aggiungiamo il fatto che erano settimane che non mi alzavo più tardi delle sei, il potermi svegliare alle otto della mattina ha dato la sua positiva tonalità alle giornate. Il verde paesaggio intorno a Mutanda è davvero incantevole, come solamente chilometri e chilometri di verde bush che copre le colline può essere. Sono stati pochi giorni, ma davvero piacevoli. Grazie Irene, grazie Albino, nel credere ogni giorno in quello che fate, anche quando costa fatica. Siete davvero grandi.

Ironic

Karamoja, tardo pomeriggio di una domenica piatta e calma sotto un sole che non risparmia nessuno. Qualcuno chiama dal cancello, è il chairman della sottocontea che cercando di riprendere fiato, ci spiega che all’ambulatorio è appena arrivato un ragazzo per una ferita grave ed è necessario portarlo all’ospedale. Saliamo immediatamente sulla jeep e andiamo all’ambulatorio. Una piccola folla ci aspetta nel piazzale e si avverte un pò di tensione.
Il ragazzo ha una ferita da taglio sopra l’addome, un’accoltellata mi dicono. Il dottore, a parte pulire e tamponare la ferita non può fare altro. È necessario portarlo all’ospedale, ad una quarantina di chilometri di pista battuta alla meglio. L’orario non è dei migliori, al crepuscolo sale il rischio di imboscate. L’altra volontaria (che detto tra noi, per anzianità dovrebbe essere la mia responsabile) non mi dice nè di aspettare nè di andare, ma semplicemente “io non lo porto, vedi tu cosa fare”. Il chairman, il dottore, il ferito e le altre persone aspettano.
Chiamo da parte il chairman e discuto con lui sulla sicurezza del viaggio, lui mi rassicura dicendomi che ultimamente non ci sono stati episodi di rapina. Lo stesso mi dice uno dei nostri collaboratori che, da semplice curioso, osservava le dinamiche di quella domenica.

Accetto di portare il ragazzo all’ospedale, a patto che qualcuno vada a chiamare il poliziotto che c’è di turno alla stazione e lo convinca a partire con noi. Dopo una decina di minuti il ragazzo ferito, un nostro collaboratore, il poliziotto ed io partiamo per l’ospedale. All’interno della jeep si sente subito un forte odore di alcool provenire dal poliziotto... è chiaro che abbiamo interrotto il festeggiamento di qualcosa, mentre è dubbio che in quello stato possa usare il fucile che si porta a tracolla.
Così dopo i primi chilometri di scossoni per le buche che non sono riuscito ad evitare, all’interno dell’abitacolo si accende subito una duplice competizione. La prima tra l’odore di disinfettante che impregna le garze e l’odore di alcool provenire dal poliziotto. L’imparità è subito evidente e scommetto sul poliziotto vincente 3 a 1. La seconda gara è invece più avvincente. Da una parte i lamenti del ferito: una litania continua rotta da acute urla ogni qualvolta centro involontariamente una buca. Dall’altra la voce del poliziotto, il quale, preso dai vapori dell’alcool, ci vuole a tutti i costi raccontare la sua domenica e non sembra rinunciare a questo suo nuovo scopo di vita. Così parla e parla alzando sempre più il tono di voce in modo da coprire il forte rumore del vecchio motore della jeep, la radio e le urla del ferito.
In tutto questo il nostro collaboratore se ne esce ogni tanto con una domanda, facendo l’offeso se gli chiedo per due o tre volte di ripetere perchè non sono riuscito a capire cosa ha detto.

Non ci resta che piangere... o non ci resta che sorridere. A cosa serve arrabbiarsi per questa Africa che non arriva a rispondere ai bisogni primari della maggiorparte della sua gente, un ospedale a un’ora di distanza con il rischio di imboscate, un polizziotto ubriaco come scorta, una buca ogni metro e una vecchia Toyota che fa fatica a salire di giri.

Perchè non provare a sorridere con ironia a ciò che, facendoci arrabbiare, ci rovina le giornate. A quello che non possiamo cambiare anche se lo volessimo, anche a ciò che ci ha fatto soffrire. Va bene provare dolore, ma poi è necessario anche trasformarlo e superarlo nell’ironia. Le incomprensioni. Le cattive parole. Le frasi dure. La fine di qualcosa che ci rendeva felici. Ogni evento ha un lato ironico, e credo che per viverlo nella sua pienezza sia utile anche riderci sopra con un pò di ironia e di intelligenza (per l'ironia ci posso provare, ma per l'intelligenza non ho molte carte da giocare)

Quella sera riuscimmo ad arrivare all’ospedale e a ricoverare il ragazzo. Il dottore ci chiese preoccupato se volevamo lasciare in reparto anche il poliziotto in modo che smaltisse la sbronza. Gli risposi che fintanto che teneva la sicura al fucile e non vomitava sui sedili, il poliziotto poteva rientrare con noi.

serata strana

Stasera non avevo proprio voglia di mettermi al computer e di scrivere: è tardi, sento i miei occhi troppo stanchi per guardarsi intorno, il corpo pare attratto solamente dal letto e dalla linea morbida e perfettamente piana del materasso, mentre la mente chiede riposo dopo questa settimana che è sembrata durare il doppio delle altre.
Il fatto è che mi ero anche sdraiato a letto con il desiderio magari di leggere un pò prima di spegnere luce e ritirarmi dal mondo sotto la mia zanzariera. Il problema è che il conquilino DJ è nella camera accanto in compagnia della sua dolce metà (di turno) ed entrambi non sembrano preoccupati di fare eccessivo rumore... anzi, non sembrano preoccupati proprio per nulla.
Abbandonato quindi libro e materasso, mi sono messo alla scrivania, computer on e subito auricolari e musica, volume quanto basta per distrarmi e coprire il vivo dialogo monosillabico che i due si stanno scambiando.
Scegliamo Elisa stasera.
“You call me your friend so you give me a name, I fell much stronger now than I ever found… you call me your friend when you show me the way to lose my fears so I can take a chance…”
La giornata non è andata poi tanto male: sveglia alle cinque, corsa, poi doccia e colazione. Alle sette si esce, camminata per passare in parrocchia per i saluti, un veloce scambio di parole ed un caffè, poi in aula per una bella e piena mattinata. Oggi, come ogni venerdì, test di verifica (per me un modo per avere un feedback oggettivo, per gli alunni uno stimolo non richiesto per concentrarsi e impegnarsi)
“…you call me your friend you decide I can stay to learn your thought, to love you anyway, to see your world… reveal your beauty… know what you need…”
Pomeriggio, caldo come al solito. Bucato, pulizie di casa, barbiere. Poi altra camminata verso Canissius High School per la Messa. Alle sei ultima lezione, per poi chiudere alle otto-otto e mezza aule e cancello. Passaggio in parrocchia per consegna chiavi, saluti serali.
“…when you finally open the door… you find out you are not alone and that you are someone to love…”
E poi, finalmente, il momento della giornata che preferisco: la camminata solitaria e silenziosa che mi porta a casa. Mi accompagnano solo i pensieri della giornata che si sta concludendo e i sogni delle giornate che verranno...
“...and you never have to stop dreaming. You never have to stop dreaming...”

Poter ritagliami questo momento è davvero speciale per me, e il farlo anche quando non ne sento la voglia (perchè comunque, finite le lezioni serali, a casa ci devo tornare) è un bel regalo. E mi sorprende come riesca a darmi calma e pa...bussano alla porta della stanza, è il conquilino DJ che mi chiede se ho voglia di una birra. Gli rispondo gentilmente di no, non sono un fan della birra. Puoi guardo l’orologio: neanche dieci minuti... lo sapevo che alla fine durano poco!

a ciascuno la sua parte

Domenica pomeriggio, Aljazeera ha appena raccontato cosa sta succedendo quà e là per il mondo: folla sotto il sole in piazza San Pietro per la santificazione per la prima volta di un’australiana; l’apertura di una scuola per bambini non udenti in Guatemala, dove per questa diversità di abilità i bambini subiscono non solo incomprensione ma anche pregiudizi e abbandono dalla società; la raccolta differenziata in un paesino giapponese dove il riciclo è diventato un’abitudine e uno stile di vita, nonchè energia tramite le turbine del vicino inceneritore (poi dicono che i giapponesi sono avanti). Infine, come sempre, i risultati del campionato inglese, italiano e spagnolo.

Domenica mattina, se per un attimo non consideriamo il fatto che nella parrocchia di Chikuni la Santa Messa viene celebrata alle sette di mattina (cioè sveglia alle sei..no comment), quella di oggi è stata proprio una bella occasione per riflettere sul Vangelo e su se stessi, con l’omelia che sottolineava la Parola e punzecchiava la comunità. Mi ha ricordato le omelie del mio parroco. Parole semplici e chiare.
Quello del Vangelo di oggi è un messaggio fermo, che traduco e trascrivo liberamente con un pò di...come dire, con un pò di quel che ci vuole, e che dice più o meno così: potete pregare quanto volete, ma non è che Dio arriva proprio dappertutto. Detto così potrebbe suonare (“potrebbe” suonare) un’affermazione atea... in effetti il prete non ha usato proprio queste parole, anzi rileggendole ammetto che la traduzione è decisamente libera... comunque, mi spiego, possiamo pregare il Signore per questo o quello, recitare il rosario (mamma mia, chissà perchè si usa il verbo “recitare”, suona così vuoto), partecipare giornalmente all’eucarestia, ma anche noi dobbiamo fare la nostra parte! Impegno, senza restare inoperosi ad aspettare che Dio sistemi le cose per noi. Fatica, nel continuare a camminare nonostante il peso sulle nostre spalle aumenti, senza fermarci per la prima stanchezza. Sicurezza, nell’affrontare le difficoltà che ci mettono alla prova senza bloccarci alla prima porta che si chiude.

Certamente (e per fortuna) vale anche il viceversa (meno male!!): non possiamo arrivare dappertutto o risolvere ogni cosa come vorremmo, ma possiamo affidarci a Dio. Insomma, anche Lui ha le Sue responsabilità, e noi i nostri limiti. Preghiera, nel presentare a Dio le nostre debolezze e le nostre fragilità e nel chiederGli se “non si potrebbe portare questo giogo un pò per uno?”. Abbandono, nel chiederGli di aggiustare un pò la vita quando questa ci sembra scivoli via. Fede e Speranza (Spe Salvi!!), di fronte all’ennessima difficoltà che ci vorrebbe spingere a cambiare direzione e strada.
Perchè finchè va tutto bene, sono euforico, allegro e felice di essere cattolico. Ma quando non va proprio come voglio, insieme alle difficoltà iniziano anche i dubbi se questa sia la strada giusta... e nel cuore la sofferenza che non mi lascia dormire... e la debolezza nel vedermi di fronte fragilità e limiti che non pensavo fossero miei... mi domando il senso di quanto avevo provato a costruire e che ora sembra essersi sciolto... cerco intorno un appiglio per non essere trascinato a valle dalla corrente...

Però è proprio in questi momenti che riesco a conoscermi proprio per quello che sono (in tutta la mia perfezione  , ovviamente  ): è in questi momenti che riesco a misurare la forza, non quando ogni cosa va per il meglio. É in questi momenti che posso crescere, fin tanto che riesco a spingermi e a misurarmi coi miei limiti. È qui che mi viene chiesto di fare la mia parte,per agire e vedere fino a dove riesco ad arrivare da solo, sapendo che Lui è sempre accanto e pronto ad aiutarmi quando scivolo.

Allora ringrazio il Signore per avermi donato le difficoltà. Ma Lo ringrazio anche per non avermene donate tante o tutte insieme.
Un abbraccio.

Change point of view... and start to change thinking



Sometimes it’s just a matter of changing our point of view, and even our thinking changes. It grows pushing itself at the border of our small mind. Just try!! Try to see the same things as you have never seen them. Of course, as all the beautiful actions and emotions, it costs physical and mental exertion (and a bit of craziness). But it’s worth trying!! There are more possibilities than you can think. For example… climbing the radio tower transmitter…

vivi e libera le emozioni... fosse facile!!

Una puntualizzazione che mi sento in dovere di dare. Per chiarezza. Per completezza. Per maggiore comprensione. E perchè nessuno pensi che le cose vadano sempre bene.
In effetti nei miei ultimi posts mi sono ben guardato dallo scrivere le difficoltà di queste settimane, quella dell’adattarsi a un posto nuovo, quella di sentire ancora vive le emozioni che mi ero trascinato dall’Italia ma che non volevo colorassero il mio arrivo a Chikuni. Forse mi illudevo che venissero fermate alla dogana “Mi scusi, non può portarle con se, deve lasciarle in Italia”. Troppo semplice.
Ogni giorno vengono a bussare al cuore esigendo un pò d’aria. Volontariamente ne esco sconfitto e concedo loro di muoversi nei pensieri. Accade alla sera, quando negli ultimi passi della giornata, esco a rinfrescarmi e a rilassarmi.
All’inizio ero titubante: concedere loro ancora un pò di spazio nel cuore e nella mente mi appariva come farmi ancora del male gratuitamente. Quando si avverte un l’emozione venire a galla e offrirvi già le prime lacrime agli occhi... a che scopo continuare? Perchè concentrarsi ancora su questo sentimento se so già che mi farà stare male? Perchè concedersi alla sofferenza, quando posso scegliere di girarmi dall’altra parte e sorridere indossando una bella maschera? Ma giorno dopo giorno, allenandomi in e di questo concentrarmi, il momento ha acquistato la sua bellezza facendomi provare quanto sia liberatorio poter vivere ogni emozione per come si presenta al nostro animo (o se preferite alla nostra mente) anche nei giorni in cui questo significa soffrire. E forse saranno state la consapevolezza di quello che stavo vivendo, insieme alla volontà di non voler nascondere angoscie e dolori in pensieri chiusi ai bordi della mente, ad aiutarmi e a farmi sentire quasi come distaccato da me stesso.

Non vi dico quello che è venuto a galla, una confidenza che lascio per pochi... ma le prime volte mi sono sentito davvero di merda. Consapevolmente e volontariamente certo, ma comunque di merda.
Perchè l’amico Fromm non te lo dice poi così chiaramente, certo ti illumina scrivendoti che
Senza sforzarsi ed essere disponibili ad affrontare il dolore e l’angoscia, è impensabile di poter crescere
e che
Percepire la verità è un’esperianza liberatoria. Libera infatti energia e illumina la mente. Procedendo su questa strada, l’uomo acquista maggiore dipendenza e vitalità, è più vitale e concentrato su se stesso. Forse si renderà conto di quanto sia difficile, se non addirittura impossibile, cambiare la realtà, ma – perlomeno- egli riuscirà a vivere e a morire da essere umano e non da pecora. Quando, invece, l’ansia di evitare la sofferenza e l’aspirazione al massimo confort si sostituiscono ai valori più alti, alla verità sono preferibili le illusioni.

Belle parole... ma col cavolo che ti fa capire quanto sia doloroso e quanto al momento ti faccia stare male. Non ti spiega quanto la sofferenza riesca a riempirti il corpo: parte dal cuore, si spinge lungo le membra e ti rende pesante nei movimenti. Svogliato nei pensieri. Poi il pianto che sale, come acqua in cui ti senti immerso. Ti arriva dallo stomaco, sale al petto... ora al collo...ora alle labbra...e non riesci a farci nulla...muovi anche le braccia in movimenti vani quasi volessi tornare a galla spingendo di nuovo la testa fuori dall’acqua. Fuori dal dolore. Invano.
Ma sarebbe “errore” e “presunzione” pensare che “sia possibile una vita senza fatica e sofferenza”. Certamente costa fatica scegliere di viverle, ma è davvero liberatorio. Perchè ora, negli ultimi passi della giornata in cui mi concedo riflessioni, preghiera e sogni, lascio ogni emozione spontanea salire dal cuore alla mente per prendersi il suo momento di aria, respirare vera e per quella che è, gonfiarsi fino a riempirmi ...e poi staccarsi da me. Alcune, nel volare via, mi lasciano un sorriso. Altre una lacrima e il cuore che trema. Ma tutte, spontanee e libere, mi regalano la verità. Facendomi conoscere me stesso.

Queste sono state le mie riflessioni, le mie emozioni, i miei pensieri... o almeno quello che ho percepito di loro. Forse sono riuscito a vederle realmente per quelle che sono. O forse non so ancora distinguere la realtà, dal sogno... e dall’effetto allucinageno del Lariam.
Un abbraccio