Grazie...

... a quelli che partono con la voglia di stare, a quelli che vivono il Vangelo prima di predicarlo,
a quelli che non smetteranno mai di sognare, a quelli che l'Amore è solo con la maiuscola,
a quelli che si accettano come sono, a quelli che piangono ad ogni partenza,
a quelli che Africa e Gioia si confondono ogni giorno, a quelli che vivono di emozioni,
a quelli che non smettono di camminare, a quelli che non si abbandonano mai,
a quelli che pregano, a quelli che sul piedistallo non ci vogliono stare, a quelli che Dio non è morto,
a quelli che si vive anche senza moda, a quelli che pensano con il cuore,
a quelli che non scelgono per comodità, a quelli che soffrono e poi ti guardano negli occhi più ricchi di prima,
...e anche a quelli che "Gianpi ci hai rotto con questi ringraziamenti"

Diario di ottobre



October Diary
. Jeep e strada. Strada e jeep.
. Prima notte di spari, dal vivo
· Riunione d’equipe
· Meglio soli o male accompagnati?
. Ops! Certe cose è meglio non scriverle
· Fine mese, finalmente un attimo per pensare
. La sera leoni, la mattina… Comboni!!


Domenica, 7 ottobre 2007
Jeep e strada. Strada e jeep.

Questa notte ho proprio riposato alla grande. Ci voleva una bella otto ore di sonno. Che poi sono state dieci se comprendiamo anche le due ore in cui ho tentato di guardare un film con scarsi risultati: tempo due scene iniziali ed ero già in fase REM.
Venerdì ci siamo fatti una lunga tirata in jeep, roba solo per autisti drogati di mirà.
A vederci partire la mattina da Kampala sembrava che andassimo a fare qualche spedizione nella savana. Claudio e Lucia sul Prado, Fausto ed Enrica sul nuovo pick-up, io sul vecchio e scassato land cruiser, tutti caricati all’inverosimile per portare l’attrezzatura per la lavorazione del latte e del miele a Namalu e ad Iriir.
Secondo voi abbiamo fatto la strada più breve? Ovviamente no! L’acqua copre più di un chilometro di strada, quindi deviazione. Purtroppo caricati come eravamo non saremmo potuti passare sopra un ponte staccatosi dagli argini il mese scorso e sistemato alla meglio. Così, seguendo la deviazione della deviazione , siamo saliti tra i monti per poi scendere di nuovo nel bush. Dall’alto la sensazione che ti regala il bush è quella di un posto calmo, tranquillo, in pace con se stesso e con gli altri. In netto contrasto con la fame dei più poveri che lo abitano, la paura quotidiana di essere attaccati dai nemici, la furbizia dei businessmen nel comprare/vendere ogni cosa per un proprio guadagno, le mille problematiche da affrontare per uno sviluppo sostenibile.
Dopo deviazioni, impantanamenti (ha piovuto proprio mezz’ora prima del nostro passaggio… che bella accoglienza!) e prove sul fango stile corso di guida rallystica (di cui mi autovaluto con un bel 9 pieno) siamo arrivati a Namalu verso le 18. Scaricato quello che dovevamo scaricare, invitati da Pigi ci siamo fermati per la cena., come perdere l’occasione di condividere una cena con tutta l’equipe SVI Uganda dopo una lunga, e per me anche solitaria, giornata di guida?
Partenza, anzi ri-partenza verso le 21 con Fausto ed Enrica davanti a fare strada ed io dietro immerso nella loro striscia di polvere. Se evitassi di scrivere della rottura del servosterzo e della cinghia del serbatoio potrei dire che all’una di notte eravamo già arrivati ad Iriir “senza problemi”.
Il programma del sabato è stato alzata alle 7, scarico e sistemazione dell’attrezzatura di cui dovremo fare l’inventario e capire come usarla, riparazione del Land Cruiser, controllo con Fausto dell’andamento delle attività svolte durante la sua vacanza e… dormita subito dopo cena!

Lunedì, 08 ottobre 2007
Prima notte di spari, dal vivo

Per più di mezz’ora i soldati hanno cercato di scacciare gli enemies che si erano spinti fino al centro di Iriir per raggiungere poi il craal e rubare le vacche. Colpi di AK47 e mitragliatrici… un bel risveglio nel pieno della notte, non c’è che dire.
I colpi li sentivo così vicini che sembrava sparassero dal nostro giardino, in realtà erano al cancello della missione (500 metri da noi): che sollievo saperlo eh? Per la paura io non mi sono neanche alzato dal letto. In compenso quando hanno finito ho aspettato un’oretta per sentire l’eventuale arrivo di qualche ferito da portare all’ospedale. Poi mi sono riaddormentato.

Martedì, 09 ottobre 2007
Riunione d’equipe
Riunione di equipe SVI. Privacy e censura.

Mercoledì, 17 ottobre 2007
Meglio soli o male accompagnati?

Da Brescia ancora nessuna novità riguardo il nuovo o i nuovi volontari che verranno ad Iriir in sostituzione di Enrica (se ne andrà il 28 novembre) e di Fausto (rimarrà ad Iriir fino a Natale, poi si sposterà più al nord).
Claudio, negli incontri con il consiglio SVI, ha riportato a loro la necessità di avere due volontari subito, loro gli hanno risposto con la candidatura di tre persone disposti da subito a partire. È trascorso però un mese e non si sa ancora nulla. Spero che arrivino il prima possibile, l’idea di rimanere da solo è tanto affascinante (evviva l’indipendenza e la libertà) quanto deprimente e spaventosa (per solitudine e caga).
L’indipendenza e la libertà si possono costruire anche in un gruppo di volontari ben affiatati, in sintonia tra di loro e pieni di spirito collaborativi. Ma la solitudine ti colpisce e non ti molla. Se poi alla sera o di notte i soldati e gli enemies si sparano a meno di 500 metri dal tuo letto, lo stare in casa da solo non ti dà molto conforto.

Venerdì, 19 ottobre 2007
Ops! Certe cose è meglio non scriverle.
La situazione in casa SVI sta migliorando.

Giovedì, 25 ottobre 2007
Fine mese, finalmente un attimo per pensare

Finalmente un pomeriggio di calma, senza nulla in programma, senza radiatori da smontare, auto da riparare, pezzi da saldare, e senza nessuno alla porta che viene a chiederti qualcosa. Così ho qualche ora al computer per sistemare la contabilità e soprattutto per scrivere due righe. Me ne andrò poi in camera a fare pulizia e poi in paese a bere qualcosa, troverò in giro qualcuno e mi fermerò a contarla su.
Domani, dopo un meeting con un gruppo di donne che vogliono collaborare con lo SVI, si va tutti a Kampala.
Sentiremo da Claudio e Lucia se ci sono novità dall’Italia, faremo un po’ di acquisti per il progetto, ritireremo i soldi il banca, faremo sistemare l’auto e la moto… per martedì o mercoledì ritorneremo ad Iriir: altri meeting e altri incontri.
Per ora l’attività è concentrata sull’apertura del silo. Il gruppo che lo gestisce ha iniziato ad acquistare le granaglie dai contadini locali. Loro sono abbastanza indipendenti, ma bisogna comunque dargli un’occhiata.
Due gruppi di donne hanno appena iniziato la cura e la gestione di capre di razza migliorata allevate a stabulazione fissa. La “stabulazione fissa” è una cosa che qui tra un popolo con una storia di pastori nomadi non si è mai vista… vi lascio immaginare quanto bisognerà incentivarle, stimolarle, animarle. Se poi proprio la storia della stalla e di tenere capre e mucche sempre dentro non prenderà piede, si cercherà qualche altra attività. Anzi cercheranno loro qualche altra attività, noi li aiuteremo stando ai margini. O almeno è questa la filosofia SVI.
Per il resto, i contadini nei villaggi stanno continuando il raccolto, la stagione delle piogge dovrebbe essere già finita da settimane, ma ogni tanto piove ancora e il meteo prevede che continuerà così fino a dicembre. Il che è positivo per quelli che hanno iniziato o che stanno iniziando una seconda coltivazione (anche lì a forza di spinte da parte SVI).
E chi non è impegnato nel raccolto, è impegnato nella pulizia del bush, cioè appicca il fuoco e scappa, nella speranza che non raggiunga il villaggio. Qui è l’unico modo per pulire il bush dall’erba alta e dalla sterpaglia e per disincentivare i nemici dal fare imboscate. Da parte nostra spingiamo a fare fire-line (strisce di terra intorno a campi e villaggi da tenere pulite) in modo che le fiamme non possano raggiungere le case.
Poi ogni giorno si prega e si spera.

Sabato 27 ottobre 2007
Stasera si esce. Primo appuntamento ugandese…

Domenica 28 ottobre 2007
La sera leoni, la mattina… Comboni!!

Come non aggiornarvi tutti sulla serata di ieri?
Dopo avervi dato in esclusiva la notizia dell’appuntamento con la bella bellunese, descritto tutte le premesse connesse, la mia agitazione da primo appuntamento mista alla fermezza del mio innato talento nell’attrarre le donne (due fattori in relativo rapporto 99,99 a 0,01), non so che aspettative vi siete fatti. Forse siete sulle spine, forse non vi interessa molto visto che mi conoscete come un latin lover di alto livello, o forse avete cestinato la posta .
Spero comunque che abbiate fatto il tifo per me.

Ovviamente parto già con il piede sbagliato trovandomi alle 17.30 a realizzare che ho solo un ora per:
aspettare il meccanico che con un “sto arrivando” tarda a venire per essere pagato;
fare la doccia;
cambiarmi scegliendo un abbigliamento decente;
cercare in strada un bodaboda (moto-taxi):
andare dall’altra parte della città serpeggiando nell’immobilità del traffico del tardo pomeriggio.

Nonostante questo alle 18 sono gia’ pronto alla porta, docciato e vestito come si deve. Saluto gli altri, i quali non mi chiedono nemmeno dove sto andando e con chi. Che bello la vita di un gruppo affiatato!! Poi come primo incoraggiamento non c’e’ male.

Mi avvio svelto verso il cancello salutando i nostri due fidati watchman (guardiani). Gli chiedo come e’ andata la giornata e gli dico che sto uscendo. I due mi guardano e uno di loro mi chiede se sto uscendo a correre. Rispondo orgoglioso che ho un appuntamento con una ragazza, ma in me nasce il dubbio sulla pertinenza del mio abbigliamento.
Spinto da questo secondo incoraggiamento, esco dal cancello e mi avvio per strada camminando. Per fortuna trascorrono solo due minuti e passa uno in moto. Come al solito, alzo la mano per fermarlo e chiedergli un passaggio. Lui mi dice che non e’ un bodaboda e che mi da’ comunque un passaggio gratis fino al primo bodaboda-stage.
Ha una moto cross 250 e non sembra ubriaco. Basta questo per convincermi. Strada facendo si offre anche di portarmi dove voglio, se lo pago ovviamente.
Gli offro 3000 Ush.
Lui chiede 4000 Ush.
Io accetto.
Arrivato a destinazione, gli dò 5000 Ush.
Non c’e’ che dire. Ho proprio talento per gli affari e la contrattazione.

Nonostante questa preparazione, arrivo puntuale all’appuntamento. Come aperitivo decidiamo di prenderci due birre in un tranquillo pub lì vicino. Iniziamo così a raccontarci quanto successo negli ultimi mesi.
Entrambi arriviamo da un periodo in cui siamo un pò giù di morale e la chiacchierata diventa presto uno sfogo di entrambi. Ci stupiamo nel sentire che stiamo incontrando le stesse difficoltà, che stiamo vivendo la stessa situazione pur in contesti e con persone diverse, che stiamo provando le stesse sensazioni, ma che abbiamo voglia di continuare la strada che abbiamo scelto. Perché ci crediamo.
Lo sfogo aiuta entrambi e ci diamo un appiglio a vicenda.

Mal comune e mezzo gaudio, ce ne andiamo a cena più rilassati e sereni. Poi partita a bigliardo, un salto a ballare al Capital, una birra al All’s pub per concludere la serata e ci troviamo alle 5.00 stanchi e assonnati. E ci credo! Ormai non abbiamo più vent’anni!

Prendere un bodaboda a quest’ora è da suicidio visto che la metà dei motociclisti è sbronza e l’altra pure. Così mi fermo a dormire a casa sua.
Ovviamente alle sette sono già sveglio, mi faccio una doccia e un caffè e inizio a chiacchierare con la sua coinquilina in merito al matrimonio (chissà poi come ci siamo arrivati a questo argomento).
Alle 10 svegliamo anche lei, ma nel vederla arrivare in cucina abbiamo difficoltà nel capire se sia sveglia o dorma ancora.
Ci salutiamo e ci teniamo entrambi liberi per il pomeriggio. Nel senso che vogliamo essere liberi per recuperare il sonno, sbrigare piccole faccende, rielaborare lo sfogo della sera precedente. Sembra facile, ma dopo un periodo di “piccola angoscia”, trovare un appiglio ti dà un sostegno positivo e sposta il tuo equilibrio emozionale. E ci vuole un po’ per rielaborare e realizzare quanto questo appiglio sia prezioso.

Un bodaboda mi porta poi a Messa nella missione comboniana di Kampala. Perché, come si dice al GIM: “Alla sera leoni, al mattino… Comboni!!”
Per mezzogiorno mi ritrovo con gli altri. Mi fanno a fatica un saluto e nessuna domanda.

Diario di settembre




September diary, ovvero:


. Qualche ora (12!!) di passaggio nel bush
. Rion, un “grande” amico ritrovato
· This is the life in Karamoja
· Prime decisioni
· Bicicletta, un mezzo semplice per sentirsi meno distanti
· Bicicletta, un mezzo semplice… anche da rubare!
· Diarrea o malaria? Questo è il dilemma!
· Insecurity: a big problem


Domenica 02 settembre 2007
Qualche ora (12!!) di passaggio nel bush

Di oggi potrei dire che è stata una giornata faticosa ma emozionante, il cui programma si è perso subito negli imprevisti. È stata una giornata da ricordare per raccontarla, ma anche da dimenticare per non intristirsi nel ricordo.
È stata una giornata di viaggio da Iriir ad Amaler, lungo 300 kilometri di pista in mezzo al bush, con 21 farmers (contadini) più bambini al seguito ammassati sul cassone di un lorry (camioncino), anch’esso stile Karamoja.
Durata prevista sei ore. Effettiva dodici.
Il timore che il programma di viaggio che mi avevo fatto mentalmente da bravo ingegnere volontario responsabile non sarebbe stato rispettato, si è subito presentato dicendomi:
“Piacere, sono l’imprevisto, nel tuo pensiero forse sono anche timore, comunque qui sono realtà e per oggi ti farò compagnia”.
“Grazie, aggiungerò un posto” gli ho risposto scherzando.
Se penso all’ora spesa nel fango per trascinare fuori il lorry, al fatto di spingerlo ogni volta per farlo partire sperando che la volta dopo si spegnesse almeno lungo un tratto di discesa e non, come sempre, lungo una salita, alle due ore spese per cambiare la ruota e aspettare che la riparassero, alla pioggia, ai soldati che ci facevano da scorta e che peggio non potevano trovare… non mi resta che ringraziare Dio per essere stato benevolo e per averci fatti arrivare tutti ad Amaler. Dovrò pensare poi ad un voto da fare per il viaggio di ritorno.

Ma è valso la pena vivere questa giornata, non molto per la sensazione di avventura (scomparsa nei primi kilometri di buche e fango) ma soprattutto per la condivisione: ero lì insieme ai farmers per fare con loro il viaggio e non li stavo invece precedendo o seguendo su una comoda jeep. Ora mi vedono non uno di loro (impossibile che avvenga) ma più vicino a loro sicuramente, dalla loro parte.

Il paesaggio che mi ha regalato oggi l’Africa è stato meraviglioso.

Il bush,
dall’alto della strada che sale per scollinare nel vicino distretto,
sembra un mare piatto, silenzioso,
senza confini,
macchiato qua e là dall’ombra delle nuvole.
Se il cuore degli uomini si plasmasse secondo lo spazio in cui gli è dato di crescere,
i karimojong non avrebbero rivali in amore. Peccato che invece…


Domani inizierò il corso con i farmers, durerà tutta settimana, non so bene (cioè non so per niente) il programma, dove staremo, cosa faremo di preciso, ma visto come è andata oggi se avessi un programma in mano lo straccerei perché non avrebbe alcuna ragione di essere letto.

Martedì 04 settembre 2007
Rion, un “grande” amico ritrovato
La giornata è iniziata bene, Kizito (uno degli insegnanti) ci ha spiegato come imbrigliare un bue usando solamente una corda, ci ha insegnato i tre comandi principali per guidare i buoi, poi ci ha dato un bue per gruppo e via a far pratica nel campo. UAU! Una volta imbrigliato Rion, così si chiama il mio bue, nero, grosso, mi sono sentito un giovane cowboy e senza paura ho provato a guidarlo. Cercavo di decidere io dove andare, ma quasi sempre dovevamo discutere per trovare un compromesso. Se non fosse per la quantità enorme di merda e piscio che ti impregna scarpe e pantaloni, me lo porterei sempre in giro con me.
Nel pomeriggio, a lezione finita, mi sono rimesso i panni di operatore sanitario per una medicazione semplice. Però qui di semplice non c’è nulla, così è diventata una medicazione complessa. Una donna si era fatta un taglio…ops, “la paziente si era procurata accidentalmente una lesione che aveva causato discontinuità del tessuto cutaneo dell’arto superiore destro”. Il caso non sembrava grave, se non che la donna ha aspettato quel paio d’ore per farsi medicare, giusto il tempo per lasciare festeggiare germi e batteri nel taglio. Anche se in casa non avevo nulla per medicarla, non potevo dirle “non posso, prova ad andare all’ambulatorio” sapendo che lei ci sarebbe andata, ma avrebbe trovato chiuso fino al giorno dopo. Così ho pulito e sciacquato la ferita con acqua bollita precedentemente e sale, ho controllato il taglio (non molto profondo ma esteso), non c’era né un corpo esterno né un’emorragia (probabilmente fermata prima dalla massa di batteri ubriachi per i festeggiamenti). Ho poi chiuso improvvisando un cerotto con carta igienica e nastro adesivo.

Mercoledì 05 settembre 2007
Oggi i buoi da guidare sono stati due.
La donna medicata è ancora viva.

Domenica 09 settembre 2007
This is the life in Karamoja
Il viaggio di ritorno è stato peggiore di quello dell’andata. Non mi aspettavo tanto ma questo è quello che ha offerto la giornata, qui dicono “This is the life in Karamoja”.
Partenza alle 7.30 da Namalu con i farmer più 10 capre per il progetto, arrivo alle 23.30 ad Iriir. Tra i vari problemi, ci siamo ritrovati fermi in mezzo al bush senza gasolio. Cosa fare? Semplice: spingiamo il lorry fino alle “vicine” baracche dei soldati e aspettiamo l’intervento della provvidenza.
Comunque sia andato il viaggio, i farmers ed io siamo contenti della settimana trascorsa, di quanto appreso, di quanto visto fare. Non solo è un tassello importante nel piano di sviluppo che stiamo costruendo insieme, ma è stata un’occasione per conoscerci meglio. Stando sempre con loro ho anche iniziato a parlare un po’ di dialetto locale, mangiando e bevendo con loro mi porterò a casa qualche batterio intestinale. Pazienza, this is the life in Karamoja!

Domenica 16 settembre 2007
Prime decisioni
Anche questa settimana ha avuto le sue gioie e i suoi dolori, e finalmente posso sfogarmi scrivendo quanto mi è successo. Lunedì è iniziato con la rottura di un perno dei bracci dello sterzo del pick-up. Una volta smontato e studiato, ci ho pensato su una notte e ho speso tutto il mercoledì pomeriggio per farne uno simile, la provvidenza mi ha aiutato ed ora si può usare ma solo in casi di emergenza, meglio non pretendere troppo. Visto che c’ero, ho rimontato il radiatore del Land Cruiser, riparato per l’ennesima volta. Almeno ora abbiamo un mezzo da poter usare.
Detto fatto, martedì e mercoledì abbiamo portato tre pazienti all’ospedale di Matany, a circa 45 chilometri da qui. Più o meno la procedura sanitaria locale funziona che tutti passano dal dispensario medico, lì il medico fa la diagnosi:
- per i casi non gravi dà la ricetta o, se malaria, consegna addirittura le medicine che sono gratuite
- per i casi gravi scrive un biglietto e dice al paziente di andare all’ospedale di Matany nel giro di qualche giorno
- per i casi urgenti o di emergenza, manda qualcuno a chiamare noi per chiedere un passaggio, ovviamente il più presto possibile
Fortunatamente la strada non era male e me la sono cavata anche senza le 4x4. L’unico problema è stato per il paziente di mercoledì. Visto l’orario qualcuno non se la sentiva di mettersi in viaggio per il solito problema dell’insicurezza, non però vietandomi di farlo, anzi lasciando a me la possibilità e soprattutto la responsabilità di decidere. Tra i due fronti, ho chiesto parere al LC3 (responsabile della sub-county) il quale ha risposto che non c’è nessun problema, ho chiesto poi al nostro collaboratore di accompagnarmi e ho mandato un ragazzo a chiamare un poliziotto o un soldato perché ci facesse da scorta. Quel qualcuno non è comunque voluto venire, ed io non me la sentivo di lasciare in ragazzo ad aspettare 3 ore, con un tre ferite profonde 15 cm a livello del diaframma e con il fatto che era più il sangue perso che quello che gli rimaneva. Così visto l’urgenza e il fatto che tutti se la sentivano (e con tranquillità) di andare a Matany, siamo partiti.
Siamo arrivati senza strani incontri, una volta consegnato il paziente nelle mani delle infermiere e dei medici, abbiamo fatto un giro in ospedale e in paese per vedere se c’era qualcuno che aveva urgenza di tornare ad Iriir. Durante l’ora passata a Matany, il poliziotto ha pensato bene di ubriacarsi e ci siamo fatti tutto il viaggio di ritorno con la speranza che non scambiasse i rumori del motore e dello sterzo con degli spari.

Lunedì 17 settembre 2007
Bicicletta, un mezzo semplice per sentirsi meno distanti
La giornata è stata fantastica! Con Logiel, uno dei nostri animatori, sono andato a vedere il lavoro di uno dei gruppi che seguiamo. Visto che andavo senza Enrica, non poteva (?!) ho scelto di andare in bicicletta. È bellissimo farsi la pista e i sentieri in mezzo al bush, tra l’erba alta, in bici come i nostri animatori. Arrivare al villaggio non su una jeep Toyota formato bianco-ricco, ma su una bici indiana e scassata come quelle che usano loro. La gente ti guarda un po’ strano, ride un po’ di te, ma è contenta e soprattutto non ti chiede un passaggio per il ritorno.
Gli unici problemi sono che ho impiegato 3 ore ad andare e 3 al tornare, che la zona era talmente lontana dalla strada principale che anche Logiel aveva paura di incappare in qualche enemies (ladri, soprattutto di animali e di cibo), che in un tratto abbiamo dovuto attraversare un fiume che era straripato coprendo tutta la strada e la zona circostante. È stato divertente! Sceso dalla bici, mi sono tolto scarpe e calzini, ho tirato su i pantaloni e via camminando con la bici di lato in mezzo all’acqua… ha un certo punto l’acqua mi arrivava al cavallo del pantaloni, e sinceramente la cosa aveva smesso di essere così simpatica. Il tutto tra il sorriso di Logiel e delle donne che stavano prendendo l’acqua.

Martedì 18 settembre 2007
Bicicletta, un mezzo semplice… anche da rubare!
Secondo giorno di field visit. Seconda pedalata e camminata. Stavolta il campi erano a ridosso del Napak (massiccio montuoso… veramente massiccio!), il giro è stato quindi più interessante, animato da vallette, sali e scendi, e visione del bush dall’alto. Tornato al dispensario dove ci eravamo incontrati e dove avevo lasciato la bici… la bici? Dov’è finita la bici? La figlia del dottore (che faceva l’amore con tre civette sul comò, ambarabà ciccì coccò) mi dice che un ragazzo l’aveva presa per andare in paese a comprare un pezzo di ricambio per un mulino. Va bene.
Aspettiamo il giovane mangiando arachidi bollite e bevendo la birra locale sotto una pianta. Che pace. Dopo più di un’ora e mezza ringrazio il dottore per il pranzo, saluto il nostro animatore e mi incammino sperando di incrociare per strada l’improvvisato pony-express. Fortuna e provvidenza vogliono che lo incontri dopo soli dieci minuti.
Quando però arrivo ad Iriir, pedalando sotto il sole delle 14.00, e affronto l’ultima salita, sono sudato e stanco, assetato e (mi dispiace per il dottore che tanto si era impegnato) sono ancora affamato. All’ultimo mi trovo davanti due bianchi dell’United Nation che stanno scendendo da un pick-up Toyota ultimo modello tirato a lucido e con autista, seguito dietro da un altro con la scorta. Mi guardano e mi salutano, io contraccambio con il poco fiato che mi rimane.
Mi chiedo cosa abbiano pensato nel vedere, in un villaggio del Karamoja, un muzungo nelle mie condizioni.

Domenica 23 settembre 2007
Diarrea o malaria? Questo è il dilemma!
Gli ultimi due giorni sono stati pessimi! Durante la notte tra giovedì e venerdì ho avuto un attacco di diarrea acuta, di quella tosta. Alle 22.30 mi sono dovuto alzare dal letto per andare in bagno. Tornato poi a riposare, nel giro di un minuto la temperatura è salita a 38°C e poi per tutta la notte, con scadenza esatta di un’ora (60 minuti precisi) dovevo tornare in bagno. Il resto della notte l’ho passato con pezza fredda sulla fronte.
Risultati: dormito zero, un rotolo di carta igienica consumato.
Per fortuna alla mattina la febbre mi è scesa. Così alle 7.30 sono andato al dispensario qui di Iriir per farmi fare il test della malaria. Il medico di laboratorio (laboratorio?!) mi chiede anche di fare un esame delle feci. Non c’è problema, gli rispondo, tra un’ora sono qui!
Per fortuna il test della malaria dà esito negativo, il tecnico (?!) mi dice che ho solamente una diarrea batterica. Così mi prescrive un antibiotico e un lassativo. Per l’antibiotico sono d’accordo. Ma perché prendere un lassativo? Contro la diarrea?? Per giunta mi prescrive un dosaggio doppio di quello descritto nel sbugiardino (???)
Come no che lo prendo!
Oggi comunque tutto bene. Domani si ricomincia con le field visit insieme agli animatori e all’inseparabile nonché scomoda bici made in India.

Domenica 30 settembre 2007
Insecurity: a big problem.
La settimana è stata veramente intensa. Con gli animatori mi sono fatto di quelle camminate in giro per la sub-county per incontrare i farmers, conoscerli, e controllare che l’aiuto che lo SVI gli sta dando lo mettano a disposizione dell’intera comunità con l’obbiettivo di raggiungere una sostenibilità alimentare.
Ho trascorso il venerdì e il sabato John Bosco che, tra gli animatori che mi hanno accompagnato, credo sia quello più vicino all’idea SVI. Siamo passati di villaggio in villaggio e non ne venivamo fuori se non avevamo incontrato tutti, non mi avesse presentato loro e non ci fossimo fermati a chiacchierare. Così abbiamo toccato i villaggi a ridosso della montagna, quelli più lontani dal centro di Iriir. Alcuni si stupivano del nostro passaggio visto che poche volte si cedono arrivare ospiti bianchi. È stato veramente arricchente incontrarli.
Il loro più grande problema è la sicurezza: ogni giorno gli enemies scendono dalla montagna e passano di villaggio in villaggio saccheggiando, rubando quello che trovano (animali, granaglie, vestiti,…), rapendo anche le donne che poi lasciano libere qualche giorno dopo. Così i coltivatori non possono neanche uscire dal villaggio per coltivare i campi, a meno che non si organizzino in gruppi per uscire solamente al mattino. Il pomeriggio restano all’interno del villaggio seguendo una sorta di coprifuoco e la notte dormono con un occhio aperto, nella speranza di non ricevere visite.
L’altro ieri sera, gli enemies sono passati anche per il centro di Iriir…

Comunque ora sono a Kampala. La bella Kampala. Affollata, commerciale, lavorativa, viva! Siamo partiti stamattina alle 3.00 (non è un errore di scrittura, erano proprio le tre di mattina quando siamo partiti da Iriir. La signora aveva paura di non arrivare.). La strada breve è interrotta da un’inondazione, così abbiamo dovuto seguire un altro tragitto: 5 ore di pista nel bush nel buio della mattina più 4 ore di strada asfaltata (che gioia sentire l’asfalto liscio, senza buche e senza dossi, sotto le ruote del Toyota). Ovviamente io ho fatto da autista.
Per rendere un po’ vivace il viaggio, verso le 5, ancora nel buio, ho provato la stabilità della jeep affrontando ad alta velocità una curva stretta e cieca. Fantastico!
I fanali illuminavano solo pochi metri di pista, e il fatto di andare a 80 km/ora non aiutava poi molto a vedere in tempo ostacoli quali buche, dossi, massi e… curve strette! Così mi sono ritrovato a seguire la strada sterzando di colpo. La jeep si è subito spostata all’esterno della pista alzandosi paurosamente sul lato interno. Dopo pochi secondi era più orizzontale che verticale.
Per fortuna la mia guida sportiva, il mio sangue freddo e la mia prontezza di riflessi mi hanno guidato in quella frazione di secondo lasciando l’acceleratore ma senza toccare il freno, contro-sterzando immediatamente l’auto fino a riprendendone il controllo, accelerando poi per riportarla subito in carreggiata. Roba da Manuale del giovane rallysta.
Praticamente, e sinceramente, mi è andata di culo e a tuttora non so come abbia fatto la jeep a non ribaltasi sul fianco.

voglia di vivere

22/07/2007

Signore, non so ancora quale sarà la mia missione,
né il dove,
né il quando.
So però che sarà con Te,
perché lo desidero.
Prego ogni giorno di vivere nel Tuo abbraccio,
solo in esso mi sento felice.


Gianpietro

emozioni prima della partenza (caga!)

Articolo pubblicato sul mensile Kiremba, Brescia, giugno 2007

Come rispondere ad un invito di Kiremba e di Sandro che mi chiedono poche righe per descrivere chi sono, il compito che svolgerò nel progetto ad Iriri, perché parto, cosa provo in questo momento? Ecco una delle prime difficoltà del partente! Questo però non te lo dicono al corso!
Allora… prima di tutto correrò il rischio di sembrare sintetico o, forse peggio, di non aver voglia di accettare l’invito, ma lascio a chi è più competente di me (leggete “Sandro” e “Samuele”) la descrizione del progetto nel suo complesso e la situazione attuale dei volontari presenti.

Quanto a me, sono reduce dalla commozione della Santa Messa di saluto ai partenti SVI vissuta ieri e mi sento veramente carico dell’affetto dei miei compagni di cammino, dei membri della Commissione e di quelli del Consiglio. Soprattutto mi sento pienamente accompagnato dai miei genitori, dai miei fratelli, dalla mia famiglia. Strano? Premetto che la missione in casa Gambirasio ha sempre avuto un posto in tavola per mangiare insieme a noi. Partendo dai miei genitori che hanno scelto il matrimonio e la famiglia come progetto, ed ogni giorno camminano lungo questa strada, poi mio zio missionario Fidei Donum in Costa d’Avorio da ormai 22 anni, poi mia sorella medico volontario in Tchad da 4 anni. Così quando due anni fa parlai a tavola del corso SVI e di quello a cui mi avrebbe portato, seguirono pochi commenti.
Non ho molta voglia di raccontare di me anche perché tralascerei i molti difetti e gonfierei i pochi pregi. Chiedete così a chi mi conosce come mi vede: ha più valore (per favore credete solo a chi vi parla bene di me. Grazie). Sulla carta risulta che sono ventottenne, quarto di cinque figli in quel delle colline bergamasche, ingegnere meccanico, volontario per piccole esperienze e per formazione, giardiniere per passione e operatore sociosanitario per professione.
A umore mi sento strano, ma molto strano. Sembra quando giocavo a calcio: insieme a me pochi compagni con cui condividere il correre e la fatica ogni minuto della partita, sugli spalti molte persone che tifano per me, ed io in campo con si il sogno di vincere, ma soprattutto con la gioia di esserci e di mettermi in gioco e alla prova in ogni passo.
Per la cronaca, quell’anno arrivammo ultimi al campionato con il peggior attacco e la peggior difesa. Spero di dare allo SVI migliori risultati.
Nel cassetto avevo molti sogni, poi li ho svenduti tutti per uno solo. Un sogno che mi hanno donato gli amici del GIM, i corsisti SVI e chi ha condiviso il cammino con me: spendere la propria vita per gli altri nel progetto che Dio ha costruito solo per me. Perché chi parte non è migliore di chi resta né fa dei sacrifici in più, semplicemente è più felice chi ascolta il Signore e lo segue per ciò che lo chiama. Italia o Africa che sia. La vita è tutta qui.

Ci sentiamo presto. Buon cammino.
Gianpietro

Barzana, punto di partenza

Articolo scritto per il mensile “Bollettino parrocchiale” di Barzana, Bergamo, maggio 2007

Barzana, punto di partenza…

Con entusiasmo ho accettato l’invito di Don Umberto a scrivere “qualche riga per il bollettino” circa l’esperienza di volontariato in Uganda (Africa centrale) che intraprenderò tra pochi giorni. Devo ammettere però che l’entusiasmo non è sufficiente per superare il blocco dello scrittore che mi viene di fronte ad una pagina vuota su cui scrivere qualcosa che coinvolga la comunità di Barzana. Qualcosa che spinga chi legge a porsi delle domande. A dir la verità mi accontenterei che chi inizia a leggere, arrivi almeno a finire l’articolo.
Poche parole innanzitutto per spiegare che andrò ad operare nel territorio del Karamoja, zona a nord-est dell’Uganda, in un progetto di animazione e di formazione comunitaria. L’obiettivo è da un lato di passare conoscenze agricole e zootecniche alla popolazione locale, dall’altro di animare gruppi locali in modo da far emergere le loro problematiche e aiutarli a risolverle. In altre parole renderli capaci di risolversi da soli i loro problemi. Non voglio però annoiarvi con descrizioni pratiche e dettagli sul progetto, potete trovare tutto sul sito www.svibrescia.it. Voglio invece scrivervi di emozioni e di sentimenti che mi accompagnano in questo cammino, per alcuni strano, per altri pazzo.
Le brevi esperienze in Venezuela e in Brasile mi hanno regalato l’abbraccio di famiglie emarginate e ho vissuto l’accoglienza in comunità messe al bando dalla società per bene (la nostra, non tiriamoci indietro!). È nata la consapevolezza che, se mi dico cristiano, non posso tirarmi indietro. Non mi è permesso starmene seduto a far nulla.
Negli ultimi anni ho vissuto così due cammini intrecciati tra loro: uno di formazione al volontariato internazionale, uno di scoperta del Vangelo. Se il primo mi ha dato un bel paio di scarponcini per camminare su strade straniere, il secondo mi ha regalato la spinta per andare avanti.
Perché quando uno scopre la gioia del Vangelo, allora muove i passi nella sicurezza di Dio e nella certezza che non vacillerà lungo la strada che Dio ha preparato solo per lui. Non credo che esistano persone migliori di altre, e sono fortemente convinto che chi parte non è più bravo di chi resta. Semplicemente credo che un uomo possa essere felice solo se dice sì al progetto che Dio ha disegnato solamente per lui. In Africa o in Italia che sia.
Attraverso il nostro sì, Dio ci regala la forza di accettare le difficoltà, la gioia di portare una croce, la pazza serenità di abbandonare i nostri sogni in cui riponiamo la nostra felicità, per camminare verso la felicità degli altri.
Se ho paura? Beh, quella non manca! Ma ho imparato che un pizzico di paura serve sempre. Come quando cammino per un sentiero in alta quota: un po’ di preoccupazione per la salita smorza la mia sicurezza ma mi porta a rispettare la montagna e a conoscere i miei limiti. E cammino più sicuro.
Pensando al progetto in cui andrò ad operare, ogni tanto provo un senso di impreparazione, non credo di avere già da ora tutte le competenze che mi permetterebbero di operare da subito con un massimo della resa. Ma questo mi aiuterà, almeno spero, ad essere più umile nei confronti delle comunità che mi accoglieranno e che, solo per il colore della mia pelle, mi vedranno superiore. Quando in realtà sarò io lo straniero in mezzo a loro. Sarò io ad aver bisogno di loro. Sarò io a sentirmi lontano da casa.

Buona strada ad ognuno di voi, da un giovane cristiano in cammino. Gianpietro

I poveri non possono aspettare !!

I Missionari Comboniani di Brescia in collaborazione con il Centro Missionario Diocesano hanno promosso una serie di otto incontri per approfondire la Campagna degli obiettivi del millennio. Gli incontri seguivano il dovere cristiano di:

- Dimezzare la povertà assoluta e la fame nel mondo
- Assicurare l’istruzione elementare a tutti i bambini e le bambine del mondo
- Promuovere la parità tra i sessi
- Ridurre di 2/3 la mortalità dei bambini al di sotto dei 5 anni di età
- Ridurre di 2/3 la mortalità materna
- Fermare ed invertire il trand di diffusione dell’HIV
- Assicurare la sostenibilità ambientale
- Sviluppare un partenariato globale per lo sviluppo“I poveri non possono aspettare”


Le relazioni che seguono non vogliono essere la scrittura dettagliata di quando esposto dai diversi relatori, primo perché il pignolo che fosse interessato nei minimi particolari a quanto esposto sarebbe potuto anche venire agli incontri, secondo perché non ne sarei più venuto a capo a scrivere ogni parola detta.
Le brevi relazioni sono solo un invito ad informarsi per prendere coscienza di problemi che la società considera lontani ma che ci riguardano in maniera tanto vicina che non ce ne rendiamo conto. Ho aggiunto liberamente alcuni grafici per sintetizzare e rendere più immediato il pensiero esposto. Troverete anche qualche link utile per approfondire.
Sentitevi liberi, anzi mi permetto di scrivere, sentitevi obbligati a fare girare il materiale o a fare lavoro di copia e incolla per qualsiasi cosa vi interessi.
Buona lettura.
Gianpietro

11 ottobre 2006
Padre Alex Zanotelli – missionario comboniano

Mentre al Nord si spreca nel sud del mondo si crepa


Durante la Santa via Crucis del 2006 il Papa definì la società attuale descrivendola come divisa in due stanze dive “in una stanza si spreca e nell’altra si crepa”, denunciando il fatto che chi accumula ruba a chi non riesce a vivere. La conversione del sistema deve essere vissuta dai bianchi perché sono loro che hanno in mano la chiave del futuro, ma devono partire dai poveri, perché loro sono la terapia ricchi.

Essere cristiani oggi
Nonostante la situazione sia drammatica, i bianchi si dicono cristiani! I bianchi si dicono credenti di Dio, di quel Dio che è dei poveri, dei deboli, dei diseredati, degli schiavi. È il Dio che vuole la libertà dei suoi figli. Nel vecchio testamento Dio distribuì la manna, sufficiente per tutti solo se equamente distribuita. Nel Vangelo Gesù opera la moltiplicazione dei pani e dei pesci che simboleggia la condivisione e l’uguaglianza. Le prime comunità cristiane infatti non erano solo riti, ma vivevano la condivisione spezzando il pane tra loro.
Come possiamo accettare l’impero attuale, l’impero cioè dell’economia di opulenza, in cui pochi vivono a spese di molti e dove la religione è usata come benedizione all’impero? Dio vuole uguaglianza, vuole una politica di giustizia, vuole essere attento al grido degli ultimi, al grido di quelli che non contano. Dio rimette in discussione ogni sistema che soverchia e uccide gli uomini.
Ed è questa la rivoluzione cristiana: essere cristiani significa sentirsi e vivere come alternativa all’impero. Invece noi cosa facciamo? Ci diciamo cristiani mentre andiamo avanti con un impero dopo l’altro!
Gesù rimase fedele a Dio, agli schiavi, ai più deboli. E noi questo dobbiamo ricordarlo. Come possiamo dirci cristiani? Cos’è veramente lo spezzare il pane? Non è forse uno scandalo l’esempio che stiamo dando al mondo noi cristiani dell’Occidente?
I poveri non possono aspettare è una questione teologica cristiana.

Il sistema
Le strutture economiche e finanziarie sono ancora degli imperi e sono imperi che uccidono, sono un muro che divide chi ha da chi non ha. Quello che oggi più conta nel sistema mondiale è la finanza (in mano a 400 famiglie che decidono, perché non sono certo i governi a decidere): oggi i poveri non servono più come manodopera ma vengono sfruttati finanziariamente. Questo sistema ammazza 50 milioni di persone all’anno per fame e per guerra. Per renderci conto del numero, sarebbe come fare una guerra mondiale all’anno.
Il debito globale è di 2500 mld di dollari, e attraverso questo i poveri foraggiano i ricchi. E noi cristiani cosa facciamo? Mi sa che abbiamo delegato la moralità solo a certi settori e viviamo quotidianamente l’incapacità di tradurre la severità evangelica a tutti gli aspetti della vita.
“Se hai è per condividere” deve essere il comandamento per un economia cristiana.
Il cumulo è contrario alla teologia cristiana quando impedisce agli altri di vivere, e come giustifichiamo che le tre famiglie più ricche al mondo hanno un reddito pari al PIL di 48 stati africani.

Conclusione
Gli otto obbiettivi del millennio sono una balla, nel senso che non si sta facendo nulla per raggiungerli.
Dobbiamo ridimensionale il nostro stile di vita, e per nostro intendo l’11% della popolazione mondiale. Non serve diventare poveri, ma serve vivere la sobrietà: rifiutare l’usa e getta, acquistare beni prodotti localmente, riciclare quello che è possibile. Qui più uno accumula e si arricchisce, più è infelice. Ma perché far soldi a scapito delle relazioni? Se i soldi li spezzi, diventano eucaristia.
I poveri non possono aspettare, ma neanche noi. Come cristiani abbiamo il dovere di ripensare ad un altro sistema.


Per approfondire:
- http://www.lilliput.org/ l’importanza delle relazioni interpersonali e tra gruppi per creare la rete. Molte informazioni e dati, tra cui il rapporto del Pentagono sul problema dell’acqua
- “L’architettura impossibile della finanza internazionale”, mensile “Valori”, nr 45 mese di dicembre/gennaio, pag 32-38

09 novembre 2006
Lucrezia Pedrali – CEM mondialità

L’istruzione: un diritto di tutti o un privilegio di pochi?



Leggiamo alcuni dati perché ci aiutino a definire la cornice della situazione mondiale attuale riguardo il problema dell’istruzione:
§ dei 630 milioni di bambini al mondo oltre 180 milioni sono esclusi dall’istruzione, di questi il 66% sono bambine
§ 1 mld di persone al mondo è analfabeta
La mancanza di istruzione di questa portata conduce inevitabilmente a povertà, schiavitù e conflitti. Inoltre l’esclusione delle bambine genera una ciclicità dell’incapacità genitoriale: come posso pretendere che una bambina oggi esclusa dall’istruzione diventi domani madre responsabile nell’istruzione dei propri figli? Dobbiamo ripensare a forme di aiuto dentro questa ottica, ad una riconversione che parta da qui in Italia.

Pensiamoci come cittadini planetari, superiamo l’idea di essere cittadini solo di un paese o di uno stato. Noi siamo cittadini del mondo e viviamo con tutta l’umanità un rapporto di interdipendenza. Il che vuol dire che il mio diritto viene rispettato solo quando il diritto dell’altro viene rispettato. C’è la necessità di una forma di conversione da parte di tutti noi attraverso gruppi di movimento sociale, ONG, … per aggiornare l’alfabeto con cui leggiamo la realtà. Questa conversione può avvenire se ci affidiamo a nuove strategie educative, per creare comunità di adulti che si sentano responsabili. Educare bambini perché si sentano appartenenti non solo alla famiglia, ma alla comunità. nomadismo concettuale, ciò che capita altrove riguarda anche me.
Accogliere i bambini che vanno a scuola con i nostri figli significa accogliere questa differenza per combattere la diffidenza. Vivere quindi la multiculturietà, cioè l’incontro di diversità. Non solo educare o istruire, ma cercare di non far sparire il bambino nell’assoluta assenza di rapporti. Avere capacità di confronto per essere cittadini planetari, per vivere la scuola come luogo di associazione e di integrazione.
Accettare che l’istruzione sia diversa, accettare che ci sono tanti modi di pensiero diversi e che questi modi sono incarnati nell’altro. Deve essere chiaro che bisogna promuovere il cittadino (italiano e non) attraverso l’intercultura, ovvero il pensare che come tutti noi siamo legittimati nella nostra identità, così lo è anche l’altro. Scuola quindi che diventa anche mediatore. Se la scuola è radicata in un’identità, allora è difficile parlare e vivere l’intercultura ed è facile vedere l’escusione dei diversi, che non vengono istruiti, che si identificano in gruppi (vedi i fondamentalisti)
Chi è escluso da questo giro, cioè chi non va a scuola, è escluso da tutto il resto, cioè dalla multi-culturietà, dalla realtà. In questo quadro è la scuola che deve accompagnare l’individuo lungo il cammino che lo porta dalla realtà di dove si trova fino al mondo. Chi è escluso dalla conoscenza è escluso, punto e basta, e non gli resta altro che andare incontro a povertà, malattie, assenza di diritti, identificazione di modelli assunti senza decostruzione. Quindi l’andare a scuola è discriminante di vita e di morte.
È necessario investire sull’istruzione e scommettere sulla scuola. La speranza sono la generazione dei piccoli dove sono veramente riconosciuti come cittadini del futuro.


Scuola come strumento di incontro positivo e di crescita
Istruzione come strumento di lotta contro:
inter-culturalità
inter-dipendenza
conflitti
schiavitù (olistica)
malattia
povertà
esclusione
multi-culturalità


14 dicembre 2006
Suor Daniela Maccari – missionaria comboniana, dir. rivista Raggio

La donna: uguale o un po’ meno?


Parlare di diritti della donna (che sembra scontato ma è bene ricordare rappresenta il 50% dell’umanità) in una tempo limitato come due ore è come mettere il mare in una conchiglia.
In Europa il 2007 è stato proclamato l’anno delle pari opportunità, per non fermarsi a semplici e ipocriti festeggiamenti è sempre necessario informarsi. Se non altro per non farsi condannare nel futuro quando i giovani chiederanno “Ma non sapevate queste cose?”. Per informarsi è importante anche ascoltare la storia da chi l’ha vissuta in prima persona, perché cambia il punto di vista. Il diritto di far conoscere la guerra passa attraverso chi l’ha subita e non chi l’ha giustificata. Ecco quindi alcune condizioni reali che vivono oggi molte donne:
· Afganistan: bambine e insegnanti donne uccise da fondamentalisti talebani perché istruite
· Arabia Saudita: giornalista massacrata dal marito per essersi scoperta il volto in televisione
· Giordania: una donna viene lapidata perché innamorata di un ragazzo cristiano
· Eritrea: madri subiscono violenza per aver dato la libertà ai figli

Nel rapporto Unicef sull’infanzia nel mondo, si parla del vantaggio della parità definendo i due sessi come due ali che devono avere la stessa forza per far volare la Terra. Le pari opportunità permettono alle famiglie di prosperare e di essere più forti mentre consentono ai figli di crescere meglio.

“Chi educa un bambino educa un uomo, chi educa una bambina educa un popolo.”
Possiamo affermare senza errore che se si rafforza la figura della donna la società cresce. Per esempio nel quadro generale dell’immigrazione, solo ora si comprende l’alto grado di aiuto delle donne verso la società sia di origine sia di arrivo. Esse rappresentano un fiume lento ma possente.. Purtroppo le donne e le bambine in molte delle società moderne (le società prima accennate sono esempi di sistemi che non possono avanzare se restano nella condizione di negazione dei diritti alla donna) vivono la discriminazione, la mancanza di potere decisionale, la povertà, la minor istruzione, gli abusi, anche un maggiore contagio del virus HIV.

Cosa fare?
Molti sono i cambiamenti che il sistema sociale deve inseguire: parità nell’istruzione, piani di governo contro la discriminazione, quote di rappresentanza nel parlamenti e in tutti i luoghi e istituzioni di decisione, ascolto dei movimenti femministi, educazione sui benefici dell’uguaglianza secondo l’equivalenza “parità di genere = benefici per tutti”. Le pari opportunità costituiscono quindi un gradino fondamentale per raggiungere gli obbiettivi del millennio. Pari opportunità significa camminare insieme verso una visione più ampia, verso il riconoscimento di una umanità che ci lega tutti in un mondo sempre più senza confini.


Per approfondire:
- mensile “Raggio”, rivista delle missionarie comboniane
- http://www.femmis.org/
- http://www.donneiran.org/


11 gennaio 2007
Prof. Francesco Castelli – presidente Medicus Mundi Italia ONG

La salute: business o servizio per tutti



La salute è un argomento complesso poiché il campo sanitario si interseca con quello sociale, economico e politico. Iniziamo a ragionare da un breve quadro storico e da una serie di dati.

Breve quadro storico
1948: Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
1978: dichiarazione di Alma Ata, conclude il periodo di riflessione iniziato dopo la II guerra mondiale, afferma che tutti siamo fratelli e che dobbiamo lavorare affinché entro il 2000 sia garantita la salute a tutti
fine anni ’80: inizia l’era del libero mercato, a livello mondiale iniziano a cambiare gli accordi e gli sforzi fatti fino ad allora verso un’umanità più unita ed equa iniziano ad incontrare i primi ostacoli

Alcuni dati
Aspettativa di vita: in Italia la vita media è di 82 anni mentre in Sierra Leone è di 38 anni
Child survival: come sappiamo una maggiore ricchezza significa avere anche un basso tasso di mortalità infantile, questa nei paesi poveri è causata da malattie curabili:
§ 25% da diarrea
§ 20% da polmonite
§ 20% da malaria
§ poi seguono Aids, morbillo…
I 2/3 delle morti di bambini (quindi 8 milioni sui 12 milioni di morti) possono essere prevenute se le popolazioni colpite potessero usare strumenti per noi normali (vaccini, acqua potabile, corrente elettrica…)
Altra ingiustizia sanitaria: in Italia abbiamo 350 medici ogni 100000 abitanti, in Burkina Faso per lo stesso campione di popolazione ce ne sono solamente 3.
I bambini vaccinati nel mondo coprono il 99% nei paesi ricchi e il 54% nei paesi poveri.
L’assistenza al parto è garantita nel 99% dei casi se si è nei paesi ricchi e nel 31% se si vive in un paese povero. Un’ennesima contraddizione è che i paesi ricchi hanno una maggiore spesa sanitaria pro-capite rispetto a quelli poveri, ma inverosimilmente la percentuale che il singolo deve versare direttamente per la propria salute è maggiore nei paesi poveri che in quelli ricchi. Ma la ricchezza c’entra poco visto che non è necessario avere molti soldi per avere un’aspettativa di vita alta, quindi basterebbe ridistribuire le ricchezze e facilmente tutti potremmo vivere più a lungo.

Infezione da HIV
Dopo i miglioramenti fatti in campo sanitario a livello mondiale, negli anni ’90 c’è stato un peggioramento nell’aspettativa di vita. Perché?
1. mercato globale con le decisioni di banca mondiale e i pagamenti del debito pubblico
2. comparsa del virus HIV
Ma HIV non è un problema solo sanitario!


- 35 milioni su 40 milioni di malati al mondo di HIV sono nei paesi poveri, ma i farmaci sono dove il problema è relativamente minore, cioè nei paesi ricchi.
- L’infezione colpisce 14000 persone al giorno, più donne che uomini, colpisce in età precoce: tra i 14 e i 25 anni.
- Una donna infetta partorisce in media 7 figli nei paesi poveri. Si è calcolato che il rischio di trasmissione al figlio del virus è del 25%. Ma se si fa un parto cesario, si usano farmaci durante la gravidanza e si allatta con latte artificiale, allora il rischio scende al 1 o 2%. Questo nei paesi ricchi. Nei paesi poveri tali accorgimenti non sono possibili ed il rischio sale al 35%.

Farmaci orfani & malattie orfane
Dei 52 milioni di morti all’anno nel mondo, 18 milioni sono a causa di malattie infettive, la prima delle quali è una malattia tropicale. Ma in questa direzione si fa poca ricerca farmaceutica. Infatti il nord ricco ha i soldi per la ricerca ma pochi morti per malattie tropicali, quindi nessuno stimolo economico o pressione sociale per una ricerca in tal senso. Per questo si parla di malattie dimenticate.
In questo quadro come si inserisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che dovrebbe essere il garante per i paesi poveri? Che dovrebbe spingere il nord ricco verso un’azione di aiuto in ambito sanitario a favore del sud povero? L’OMS, da parte sua, utilizza il 99% del proprio budget per stipendiare i propri dipendenti…

Progetto in Burkina Faso
Nato da una cooperazione tra Medicus Mundi e l’Università di Brescia, il progetto lavora in ambito sanitario tra la popolazione del Burkina Faso, dove dal 7 al 10% della popolazione è infetto da HIV, il paese è dato alla 175° posizione nella scala mondiale delle nazioni ricchi (che va da 1 a 178). In questo mare di malattia, povertà e morte il progetto copre la spesa sanitaria a 650 pz infetti dal virus HIV. È una gocce veramente piccola, ma è sempre una goccia da poter unire alle altre.

o HIV/AIDS continua silenziosa a dilagare in Africa, insieme ad altre epidemie
o ha un impatto sanitario ma anche sociale ed economico
o le donne portano il peso sociale maggiore
o cura e prevenzione devono operare insieme, ma l’accesso ai farmaci è negato
o strutture e università nel mondo ricco possono giocare un ruolo importante
o il numero maggiore di morti sono per cause facilmente prevenibili, quindi possiamo fare qualcosa


08 febbraio 2007
Ugo Buggeri – Fondazione Culturale Banca Etica

“Un ambiente sostenibile è possibile! Utopia o realtà”



Da soli come cittadinanza attiva di fronte a qualsiasi problema sociale, abbiamo il dovere di muoverci anche a piccoli passi che però possono acquistare un valore fondamentale se insieme rappresentano la volontà di molte persone di cambiare.
Per quanto riguarda il problema dell’ambiente, è necessario partire da un dato ovvio e fors per questo dimenticato: la Terra è finita, non ci sono altri pianeti in cui abitare. Per il benessere e la sostenibilità dell’umanità dobbiamo ridurre e cambiare le modalità del consumo che facciamo della natura. Il che significa minor flusso di materiali e un utilizzo di energia rinnovabile.
Infatti la rinnovabilità di una risorsa è data dalla velocità di rigenerazione e dal tasso di prelievo. Anche il petrolio è una risorsa naturale rinnovabile, purtroppo si riforma in milioni di anni mentre il nostro tasso di prelievo è di decenni. Ora le risorse sono scarse! Cosa possiamo fare? Non ci restano che tre possibilità:
1.ci si accaparra quelle degli altri
2.ci inventiamo qualcosa di nuovo
3.troviamo regole comuni per una gestione delle risorse equa ed ecologica
Secondo i principi economici, per migliorare il livello di vita delle popolazioni povere, dovremmo aumentare la torta in modo che possa beneficiare (che sottintende “consumare”) anche chi oggi non ha nulla. Peccato che questa prospettiva non è possibile, la natura e la Terra non permettono un maggior sfruttamento di risorse, quindi la strada da percorrere è:
MAGGIORE USO DEL BUON SENSO
Meno volume di materiale da consumare
Più servizi e più efficienti
Meno materialismo
Meno consumi e più relazioni (spesa condominiale)



In questa prospettiva cosa ci dice il Wuppertal Institute? Ci dice che stiamo inquinando la Terra e che non dobbiamo preoccuparci dei piccolissimi microgrammi di polveri sottili, piuttosto preoccupiamoci delle tonnellate di materie prime che si consumano. I parametri costruiti per dare un’idea del reale consumo che generano i nostri acquisti e delle conseguenze a cui portano, sono lo zaino ecologico e l’impronta ambientale.
Lo zaino ecologico calcola, sommando flussi diretti e indiretti, quanti kilogrammi di materiale sono stati necessari per produrre 1 kg di un dato materiale. Per esempio lo zaino ecologico del legno ci dice che per produrre e vendere un oggetto di 2 kg di legno sono stati consumati 12 kg di materiale (taglio del legno, trasporto della materia prima, risorse per la produzione, trasporto materiale finito, …)
materiale
zaino ecologico
[per 1 kg di materiale]
Vetro
1,5
Plastica
4 – 20
Legno
6
Cotone
70 (consuma molta fertilità del terreno)
Metalli
18 – 30
Oro
500000
Elettronica
> 100
In EU sono stimate 50 tonnellate annue pro-capite, ovvero 137 kg di materiale che si consuma al giorno per persona. Di questo il 29% è combustibile fossile.Dati alla mano è facile provare che si è superata la capacità della Terra di dare risorse.
L’impronta ecologica stima gli ettari produttivi della Terra, cioè i terreni dove è possibile produrre, dove in pratica avviene la fotosintesi. Ci dice che ci sono 12 mld di ettari, quindi soltanto 2 ettari a testa. Molto poco!!
Per fortuna che la natura ha un ciclo abbondante, bisognerebbe solo inserirsi in questo ciclo.
La soluzione è educare verso un consumo responsabile, in questo ci aiuta la teoria economica delle 4R e delle 4D.
4 R
riduzione dell’input
razionalizzazione nell’uso
ri-uso
riciclo
4 D
decrescita dei consumi
dematerializzazione
durabilità dei prodotti
decentramento della produzione






Anche noi nella nostra quotidianità possiamo fare qualcosa.
Per approfondire:
- http://www.marioagostinelli.it/ sito del consigliere della minoranza della Regione Lombardia, è possibile trovare e scaricare liberamente il rapporto sull’energia (consuni e sprechi in merito). Grafici e dati di facile lettura in una presentazione in power point

08 marzo 2007
Prof. Riccardo Putrella – Contratto Mondiale sull’acqua

Il ruolo di una cittadinanza attiva per uno sviluppo globale
ovvero la speranza di cambiare lo stile di vita


Cosa si intende per “cittadinanza attiva”?
È una cittadinanza che ha la capacità di fare storia, di essere cioè partecipante in una società. In questa concezione ognuno di noi ha potere in quanto ognuno appartiene ad una cittadinanza. Qui incontriamo un primo ostacolo: chi è cittadino? Chi viene considerato appartenente a questa o quella cittadinanza?
Purtroppo nella società di oggi esiste una divisione tra chi è considerato cittadino e chi invece non viene considerato tale nonostante condivida lo spazio e il tempo del precedente. Questo perché il sistema non chiede di essere cittadini, ma di essere consumatori. La ricchezza che si chiede al cittadino moderno è quella di consumare, per cui è “cittadino” chi consuma, chi partecipa al consumo, chi è detentore di capitale.
Ne è prova il fatto che non si costruiscono solo centri commerciali, ma intere città dedite al commercio. Ne è prova che la povertà ora viene definita in termini di consumo e non di reddito (povero è chi consuma meno di 850 euro al mese). Ne è prova che gli esami che i giovani sostengono all’università non offrono solo voti, ma crediti, è come se si acquistasse sapere, come se lo studente diventasse consumatore o investitore. Ne è prova che l’anziano è considerato ancora cittadino solo finché consuma.
Il sistema definisce quindi l’essere cittadino in stretto legame con la finanza. Ma perché? Perché siamo cresciuti con due grandi obbiettivi da raggiungere: la ricchezza e la potenza. Con questi due miti accettiamo perfino la naturalità della disuguaglianza. Ora si crede che solamente la ricchezza possa portare alla sicurezza e quindi al potere. È una concezione che ci è entrata in testa e che viviamo quotidianamente.
Ma è possibile cambiare il mondo, che tra l’altro è sempre stato cambiato. Anche il messaggio cristiano ci insegna che chi crede nella ricchezza e nel potere verrà deriso. Una preghiera dice che “Noi siamo parola di Dio che non si ripete mai”, e lo siamo qui ed ora. Dobbiamo quindi spingerci verso una politica sociale attiva, partecipata, in modo da poter costruire una società che tra l’altro, per essere definita tale, non può che essere che giusta. Una società che rispetti l’uguaglianza, non in funzione della ricchezza ma dell’essere cittadini. Una società che rispetti la fraternità, intesa come amore tra gli uomini.
Non dobbiamo quindi partire dalla ricchezza e dal potere, ma dal concetto di cittadinanza mondiale: noi apparteniamo all’umanità, noi siamo l’umanità. La sfida è quindi capire che gli altri sei miliardi di uomini non sono fuori ma sono dentro di noi. Siamo tutti una sola parola di Dio, perché l’altro è in me. L’umanità deve diventare il punto di riferimento del nostro essere cittadinanza.

Cosa possiamo fare allora? Alcune linee guida:
1. umanità
partiamo dalla concezione di umanità come parte di noi, per poter costruire una cittadinanza attiva. La sicurezza non è avere ricchezza, ma fare la pace. Se restiamo nella logica di ricchezza e di potenza non ci potrà mai essere pace perché la ricchezza genera potenza e poi guerra
2. beni comuni
ci sono beni e servizi che sono oggetto di tutti e che non possono essere considerati privati o patrimoniali. Non si può privatizzare l’acqua o lo spazio (p.e. le compagnie telefoniche che si dividono lo spazio e noi paghiamo la loro occupazione)
3. la vita
considerare la vita come diritto e quindi vedere la politica come servizio che parte dal diritto alla vita, quindi diritto alla salute, all’educazione… La politica deve quindi essere un potere trasparente, controllabile, esercitato e non imposto.
4. la responsabilità collettiva
vivere la propria responsabilità come solidarietà verso gli altri. Solidarietà con vista come carità, ma solidarietà come sentirsi appartenente ad un gruppo è quindi responsabile degli altri membri del gruppo

Concludendo, dobbiamo creare la “polis dell’umanità”. Per far questo servono:
- regole e principi fondatori: umanità, vita come diritto, beni comuni
- istituzioni politiche che siano al servizio dell’umanità
- mezzi economici e finanziari che siano al servizio dell’umanità
Soprattutto serve credere nella capacità di essere giusti, nella capacità di poter cambiare, nella capacità di vivere la fraternità. Solo se ci crediamo allora possiamo cambiare lo stile di vita nostro e degli altri.


Per approfondire:
- Mensile “Nigrizia”, ogni mese va bene, in particolare nel numero del mese di marzo 2007 trovate un articolo dello stesso Riccardo Putrella, a pag 30-32.