Grazie...

... a quelli che partono con la voglia di stare, a quelli che vivono il Vangelo prima di predicarlo,
a quelli che non smetteranno mai di sognare, a quelli che l'Amore è solo con la maiuscola,
a quelli che si accettano come sono, a quelli che piangono ad ogni partenza,
a quelli che Africa e Gioia si confondono ogni giorno, a quelli che vivono di emozioni,
a quelli che non smettono di camminare, a quelli che non si abbandonano mai,
a quelli che pregano, a quelli che sul piedistallo non ci vogliono stare, a quelli che Dio non è morto,
a quelli che si vive anche senza moda, a quelli che pensano con il cuore,
a quelli che non scelgono per comodità, a quelli che soffrono e poi ti guardano negli occhi più ricchi di prima,
...e anche a quelli che "Gianpi ci hai rotto con questi ringraziamenti"

Diario di settembre




September diary, ovvero:


. Qualche ora (12!!) di passaggio nel bush
. Rion, un “grande” amico ritrovato
· This is the life in Karamoja
· Prime decisioni
· Bicicletta, un mezzo semplice per sentirsi meno distanti
· Bicicletta, un mezzo semplice… anche da rubare!
· Diarrea o malaria? Questo è il dilemma!
· Insecurity: a big problem


Domenica 02 settembre 2007
Qualche ora (12!!) di passaggio nel bush

Di oggi potrei dire che è stata una giornata faticosa ma emozionante, il cui programma si è perso subito negli imprevisti. È stata una giornata da ricordare per raccontarla, ma anche da dimenticare per non intristirsi nel ricordo.
È stata una giornata di viaggio da Iriir ad Amaler, lungo 300 kilometri di pista in mezzo al bush, con 21 farmers (contadini) più bambini al seguito ammassati sul cassone di un lorry (camioncino), anch’esso stile Karamoja.
Durata prevista sei ore. Effettiva dodici.
Il timore che il programma di viaggio che mi avevo fatto mentalmente da bravo ingegnere volontario responsabile non sarebbe stato rispettato, si è subito presentato dicendomi:
“Piacere, sono l’imprevisto, nel tuo pensiero forse sono anche timore, comunque qui sono realtà e per oggi ti farò compagnia”.
“Grazie, aggiungerò un posto” gli ho risposto scherzando.
Se penso all’ora spesa nel fango per trascinare fuori il lorry, al fatto di spingerlo ogni volta per farlo partire sperando che la volta dopo si spegnesse almeno lungo un tratto di discesa e non, come sempre, lungo una salita, alle due ore spese per cambiare la ruota e aspettare che la riparassero, alla pioggia, ai soldati che ci facevano da scorta e che peggio non potevano trovare… non mi resta che ringraziare Dio per essere stato benevolo e per averci fatti arrivare tutti ad Amaler. Dovrò pensare poi ad un voto da fare per il viaggio di ritorno.

Ma è valso la pena vivere questa giornata, non molto per la sensazione di avventura (scomparsa nei primi kilometri di buche e fango) ma soprattutto per la condivisione: ero lì insieme ai farmers per fare con loro il viaggio e non li stavo invece precedendo o seguendo su una comoda jeep. Ora mi vedono non uno di loro (impossibile che avvenga) ma più vicino a loro sicuramente, dalla loro parte.

Il paesaggio che mi ha regalato oggi l’Africa è stato meraviglioso.

Il bush,
dall’alto della strada che sale per scollinare nel vicino distretto,
sembra un mare piatto, silenzioso,
senza confini,
macchiato qua e là dall’ombra delle nuvole.
Se il cuore degli uomini si plasmasse secondo lo spazio in cui gli è dato di crescere,
i karimojong non avrebbero rivali in amore. Peccato che invece…


Domani inizierò il corso con i farmers, durerà tutta settimana, non so bene (cioè non so per niente) il programma, dove staremo, cosa faremo di preciso, ma visto come è andata oggi se avessi un programma in mano lo straccerei perché non avrebbe alcuna ragione di essere letto.

Martedì 04 settembre 2007
Rion, un “grande” amico ritrovato
La giornata è iniziata bene, Kizito (uno degli insegnanti) ci ha spiegato come imbrigliare un bue usando solamente una corda, ci ha insegnato i tre comandi principali per guidare i buoi, poi ci ha dato un bue per gruppo e via a far pratica nel campo. UAU! Una volta imbrigliato Rion, così si chiama il mio bue, nero, grosso, mi sono sentito un giovane cowboy e senza paura ho provato a guidarlo. Cercavo di decidere io dove andare, ma quasi sempre dovevamo discutere per trovare un compromesso. Se non fosse per la quantità enorme di merda e piscio che ti impregna scarpe e pantaloni, me lo porterei sempre in giro con me.
Nel pomeriggio, a lezione finita, mi sono rimesso i panni di operatore sanitario per una medicazione semplice. Però qui di semplice non c’è nulla, così è diventata una medicazione complessa. Una donna si era fatta un taglio…ops, “la paziente si era procurata accidentalmente una lesione che aveva causato discontinuità del tessuto cutaneo dell’arto superiore destro”. Il caso non sembrava grave, se non che la donna ha aspettato quel paio d’ore per farsi medicare, giusto il tempo per lasciare festeggiare germi e batteri nel taglio. Anche se in casa non avevo nulla per medicarla, non potevo dirle “non posso, prova ad andare all’ambulatorio” sapendo che lei ci sarebbe andata, ma avrebbe trovato chiuso fino al giorno dopo. Così ho pulito e sciacquato la ferita con acqua bollita precedentemente e sale, ho controllato il taglio (non molto profondo ma esteso), non c’era né un corpo esterno né un’emorragia (probabilmente fermata prima dalla massa di batteri ubriachi per i festeggiamenti). Ho poi chiuso improvvisando un cerotto con carta igienica e nastro adesivo.

Mercoledì 05 settembre 2007
Oggi i buoi da guidare sono stati due.
La donna medicata è ancora viva.

Domenica 09 settembre 2007
This is the life in Karamoja
Il viaggio di ritorno è stato peggiore di quello dell’andata. Non mi aspettavo tanto ma questo è quello che ha offerto la giornata, qui dicono “This is the life in Karamoja”.
Partenza alle 7.30 da Namalu con i farmer più 10 capre per il progetto, arrivo alle 23.30 ad Iriir. Tra i vari problemi, ci siamo ritrovati fermi in mezzo al bush senza gasolio. Cosa fare? Semplice: spingiamo il lorry fino alle “vicine” baracche dei soldati e aspettiamo l’intervento della provvidenza.
Comunque sia andato il viaggio, i farmers ed io siamo contenti della settimana trascorsa, di quanto appreso, di quanto visto fare. Non solo è un tassello importante nel piano di sviluppo che stiamo costruendo insieme, ma è stata un’occasione per conoscerci meglio. Stando sempre con loro ho anche iniziato a parlare un po’ di dialetto locale, mangiando e bevendo con loro mi porterò a casa qualche batterio intestinale. Pazienza, this is the life in Karamoja!

Domenica 16 settembre 2007
Prime decisioni
Anche questa settimana ha avuto le sue gioie e i suoi dolori, e finalmente posso sfogarmi scrivendo quanto mi è successo. Lunedì è iniziato con la rottura di un perno dei bracci dello sterzo del pick-up. Una volta smontato e studiato, ci ho pensato su una notte e ho speso tutto il mercoledì pomeriggio per farne uno simile, la provvidenza mi ha aiutato ed ora si può usare ma solo in casi di emergenza, meglio non pretendere troppo. Visto che c’ero, ho rimontato il radiatore del Land Cruiser, riparato per l’ennesima volta. Almeno ora abbiamo un mezzo da poter usare.
Detto fatto, martedì e mercoledì abbiamo portato tre pazienti all’ospedale di Matany, a circa 45 chilometri da qui. Più o meno la procedura sanitaria locale funziona che tutti passano dal dispensario medico, lì il medico fa la diagnosi:
- per i casi non gravi dà la ricetta o, se malaria, consegna addirittura le medicine che sono gratuite
- per i casi gravi scrive un biglietto e dice al paziente di andare all’ospedale di Matany nel giro di qualche giorno
- per i casi urgenti o di emergenza, manda qualcuno a chiamare noi per chiedere un passaggio, ovviamente il più presto possibile
Fortunatamente la strada non era male e me la sono cavata anche senza le 4x4. L’unico problema è stato per il paziente di mercoledì. Visto l’orario qualcuno non se la sentiva di mettersi in viaggio per il solito problema dell’insicurezza, non però vietandomi di farlo, anzi lasciando a me la possibilità e soprattutto la responsabilità di decidere. Tra i due fronti, ho chiesto parere al LC3 (responsabile della sub-county) il quale ha risposto che non c’è nessun problema, ho chiesto poi al nostro collaboratore di accompagnarmi e ho mandato un ragazzo a chiamare un poliziotto o un soldato perché ci facesse da scorta. Quel qualcuno non è comunque voluto venire, ed io non me la sentivo di lasciare in ragazzo ad aspettare 3 ore, con un tre ferite profonde 15 cm a livello del diaframma e con il fatto che era più il sangue perso che quello che gli rimaneva. Così visto l’urgenza e il fatto che tutti se la sentivano (e con tranquillità) di andare a Matany, siamo partiti.
Siamo arrivati senza strani incontri, una volta consegnato il paziente nelle mani delle infermiere e dei medici, abbiamo fatto un giro in ospedale e in paese per vedere se c’era qualcuno che aveva urgenza di tornare ad Iriir. Durante l’ora passata a Matany, il poliziotto ha pensato bene di ubriacarsi e ci siamo fatti tutto il viaggio di ritorno con la speranza che non scambiasse i rumori del motore e dello sterzo con degli spari.

Lunedì 17 settembre 2007
Bicicletta, un mezzo semplice per sentirsi meno distanti
La giornata è stata fantastica! Con Logiel, uno dei nostri animatori, sono andato a vedere il lavoro di uno dei gruppi che seguiamo. Visto che andavo senza Enrica, non poteva (?!) ho scelto di andare in bicicletta. È bellissimo farsi la pista e i sentieri in mezzo al bush, tra l’erba alta, in bici come i nostri animatori. Arrivare al villaggio non su una jeep Toyota formato bianco-ricco, ma su una bici indiana e scassata come quelle che usano loro. La gente ti guarda un po’ strano, ride un po’ di te, ma è contenta e soprattutto non ti chiede un passaggio per il ritorno.
Gli unici problemi sono che ho impiegato 3 ore ad andare e 3 al tornare, che la zona era talmente lontana dalla strada principale che anche Logiel aveva paura di incappare in qualche enemies (ladri, soprattutto di animali e di cibo), che in un tratto abbiamo dovuto attraversare un fiume che era straripato coprendo tutta la strada e la zona circostante. È stato divertente! Sceso dalla bici, mi sono tolto scarpe e calzini, ho tirato su i pantaloni e via camminando con la bici di lato in mezzo all’acqua… ha un certo punto l’acqua mi arrivava al cavallo del pantaloni, e sinceramente la cosa aveva smesso di essere così simpatica. Il tutto tra il sorriso di Logiel e delle donne che stavano prendendo l’acqua.

Martedì 18 settembre 2007
Bicicletta, un mezzo semplice… anche da rubare!
Secondo giorno di field visit. Seconda pedalata e camminata. Stavolta il campi erano a ridosso del Napak (massiccio montuoso… veramente massiccio!), il giro è stato quindi più interessante, animato da vallette, sali e scendi, e visione del bush dall’alto. Tornato al dispensario dove ci eravamo incontrati e dove avevo lasciato la bici… la bici? Dov’è finita la bici? La figlia del dottore (che faceva l’amore con tre civette sul comò, ambarabà ciccì coccò) mi dice che un ragazzo l’aveva presa per andare in paese a comprare un pezzo di ricambio per un mulino. Va bene.
Aspettiamo il giovane mangiando arachidi bollite e bevendo la birra locale sotto una pianta. Che pace. Dopo più di un’ora e mezza ringrazio il dottore per il pranzo, saluto il nostro animatore e mi incammino sperando di incrociare per strada l’improvvisato pony-express. Fortuna e provvidenza vogliono che lo incontri dopo soli dieci minuti.
Quando però arrivo ad Iriir, pedalando sotto il sole delle 14.00, e affronto l’ultima salita, sono sudato e stanco, assetato e (mi dispiace per il dottore che tanto si era impegnato) sono ancora affamato. All’ultimo mi trovo davanti due bianchi dell’United Nation che stanno scendendo da un pick-up Toyota ultimo modello tirato a lucido e con autista, seguito dietro da un altro con la scorta. Mi guardano e mi salutano, io contraccambio con il poco fiato che mi rimane.
Mi chiedo cosa abbiano pensato nel vedere, in un villaggio del Karamoja, un muzungo nelle mie condizioni.

Domenica 23 settembre 2007
Diarrea o malaria? Questo è il dilemma!
Gli ultimi due giorni sono stati pessimi! Durante la notte tra giovedì e venerdì ho avuto un attacco di diarrea acuta, di quella tosta. Alle 22.30 mi sono dovuto alzare dal letto per andare in bagno. Tornato poi a riposare, nel giro di un minuto la temperatura è salita a 38°C e poi per tutta la notte, con scadenza esatta di un’ora (60 minuti precisi) dovevo tornare in bagno. Il resto della notte l’ho passato con pezza fredda sulla fronte.
Risultati: dormito zero, un rotolo di carta igienica consumato.
Per fortuna alla mattina la febbre mi è scesa. Così alle 7.30 sono andato al dispensario qui di Iriir per farmi fare il test della malaria. Il medico di laboratorio (laboratorio?!) mi chiede anche di fare un esame delle feci. Non c’è problema, gli rispondo, tra un’ora sono qui!
Per fortuna il test della malaria dà esito negativo, il tecnico (?!) mi dice che ho solamente una diarrea batterica. Così mi prescrive un antibiotico e un lassativo. Per l’antibiotico sono d’accordo. Ma perché prendere un lassativo? Contro la diarrea?? Per giunta mi prescrive un dosaggio doppio di quello descritto nel sbugiardino (???)
Come no che lo prendo!
Oggi comunque tutto bene. Domani si ricomincia con le field visit insieme agli animatori e all’inseparabile nonché scomoda bici made in India.

Domenica 30 settembre 2007
Insecurity: a big problem.
La settimana è stata veramente intensa. Con gli animatori mi sono fatto di quelle camminate in giro per la sub-county per incontrare i farmers, conoscerli, e controllare che l’aiuto che lo SVI gli sta dando lo mettano a disposizione dell’intera comunità con l’obbiettivo di raggiungere una sostenibilità alimentare.
Ho trascorso il venerdì e il sabato John Bosco che, tra gli animatori che mi hanno accompagnato, credo sia quello più vicino all’idea SVI. Siamo passati di villaggio in villaggio e non ne venivamo fuori se non avevamo incontrato tutti, non mi avesse presentato loro e non ci fossimo fermati a chiacchierare. Così abbiamo toccato i villaggi a ridosso della montagna, quelli più lontani dal centro di Iriir. Alcuni si stupivano del nostro passaggio visto che poche volte si cedono arrivare ospiti bianchi. È stato veramente arricchente incontrarli.
Il loro più grande problema è la sicurezza: ogni giorno gli enemies scendono dalla montagna e passano di villaggio in villaggio saccheggiando, rubando quello che trovano (animali, granaglie, vestiti,…), rapendo anche le donne che poi lasciano libere qualche giorno dopo. Così i coltivatori non possono neanche uscire dal villaggio per coltivare i campi, a meno che non si organizzino in gruppi per uscire solamente al mattino. Il pomeriggio restano all’interno del villaggio seguendo una sorta di coprifuoco e la notte dormono con un occhio aperto, nella speranza di non ricevere visite.
L’altro ieri sera, gli enemies sono passati anche per il centro di Iriir…

Comunque ora sono a Kampala. La bella Kampala. Affollata, commerciale, lavorativa, viva! Siamo partiti stamattina alle 3.00 (non è un errore di scrittura, erano proprio le tre di mattina quando siamo partiti da Iriir. La signora aveva paura di non arrivare.). La strada breve è interrotta da un’inondazione, così abbiamo dovuto seguire un altro tragitto: 5 ore di pista nel bush nel buio della mattina più 4 ore di strada asfaltata (che gioia sentire l’asfalto liscio, senza buche e senza dossi, sotto le ruote del Toyota). Ovviamente io ho fatto da autista.
Per rendere un po’ vivace il viaggio, verso le 5, ancora nel buio, ho provato la stabilità della jeep affrontando ad alta velocità una curva stretta e cieca. Fantastico!
I fanali illuminavano solo pochi metri di pista, e il fatto di andare a 80 km/ora non aiutava poi molto a vedere in tempo ostacoli quali buche, dossi, massi e… curve strette! Così mi sono ritrovato a seguire la strada sterzando di colpo. La jeep si è subito spostata all’esterno della pista alzandosi paurosamente sul lato interno. Dopo pochi secondi era più orizzontale che verticale.
Per fortuna la mia guida sportiva, il mio sangue freddo e la mia prontezza di riflessi mi hanno guidato in quella frazione di secondo lasciando l’acceleratore ma senza toccare il freno, contro-sterzando immediatamente l’auto fino a riprendendone il controllo, accelerando poi per riportarla subito in carreggiata. Roba da Manuale del giovane rallysta.
Praticamente, e sinceramente, mi è andata di culo e a tuttora non so come abbia fatto la jeep a non ribaltasi sul fianco.