P005) Short conversation in the office with Margaret
I: -How old are you?-
Margaret: -I’m nineteen. And you?-
I: -Ah, I’m very old, more than you. I’m thirty-
Margaret: - You look young! But you are very old.-
I: - …
P006) Chiedo a una delle nostre educatrici se anche lei, come gli altri, quest’anno vuole un agenda. Mi risponde che non è sicura e mi farà sapere quando la vorrà.
Io le ricordo che siamo alla fine di marzo… se aspetta ancora un po’…
P007) questa scusate ma non riesco pubblicarla... veramente senza spiegazione logica, ma neanche con la fantasia
P008) Uno dei nostri ragazzi, vedendomi tornare dalla comunione mangiando la particola: - Ma non è di plastica? -
Grazie...
... a quelli che partono con la voglia di stare, a quelli che vivono il Vangelo prima di predicarlo,
a quelli che non smetteranno mai di sognare, a quelli che l'Amore è solo con la maiuscola,
a quelli che si accettano come sono, a quelli che piangono ad ogni partenza,
a quelli che Africa e Gioia si confondono ogni giorno, a quelli che vivono di emozioni,
a quelli che non smettono di camminare, a quelli che non si abbandonano mai,
a quelli che pregano, a quelli che sul piedistallo non ci vogliono stare, a quelli che Dio non è morto,
a quelli che si vive anche senza moda, a quelli che pensano con il cuore,
a quelli che non scelgono per comodità, a quelli che soffrono e poi ti guardano negli occhi più ricchi di prima,
...e anche a quelli che "Gianpi ci hai rotto con questi ringraziamenti"
Oscar e la dama in rosa
“Oscar e la dama in rosa”
di Eric-Emmanuel Schmitt
Ed. BUR
“- Rifletti, Oscar. A chi ti senti più vicino? A un Dio che non prova niente o a un Dio che soffre?
- A quello che soffre, ovviamente. Ma se fossi lui, se fossi Dio, se, come lui, avessi i mezzi, avrei evitato di soffrire.
- Nessuno può evitare di soffrire. Né Dio né tu. Né i tuoi genitori né io.
- Bene. D’accordo. Ma perché soffrire?
- Per l’appunto. C’è sofferenza e sofferenza. Guarda meglio il suo viso. Osserva. Sembra che soffra?
- No. È curioso. Non sembra che abbia male.
- Ecco. Bisogna distinguere due pene., Oscar, la sofferenza fisica e la sofferenza morale. La sofferenza fisica la si subisce. La sofferenza morale la si sceglie.
- Non capisco.
- Se ti piantano dei chiodi nei polsi o nei piedi, non puoi far altro che avere male. Subisci. Invece, all’idea di morire, non sei obbligato ad avere male. Non sai che cos’è. Dipende dunque da te.”
di Eric-Emmanuel Schmitt
Ed. BUR
“- Rifletti, Oscar. A chi ti senti più vicino? A un Dio che non prova niente o a un Dio che soffre?
- A quello che soffre, ovviamente. Ma se fossi lui, se fossi Dio, se, come lui, avessi i mezzi, avrei evitato di soffrire.
- Nessuno può evitare di soffrire. Né Dio né tu. Né i tuoi genitori né io.
- Bene. D’accordo. Ma perché soffrire?
- Per l’appunto. C’è sofferenza e sofferenza. Guarda meglio il suo viso. Osserva. Sembra che soffra?
- No. È curioso. Non sembra che abbia male.
- Ecco. Bisogna distinguere due pene., Oscar, la sofferenza fisica e la sofferenza morale. La sofferenza fisica la si subisce. La sofferenza morale la si sceglie.
- Non capisco.
- Se ti piantano dei chiodi nei polsi o nei piedi, non puoi far altro che avere male. Subisci. Invece, all’idea di morire, non sei obbligato ad avere male. Non sai che cos’è. Dipende dunque da te.”
Invece questa Africa ...
“…certi giorni faccio davvero fatica a comprenderla, non riesco a trovare un senso nel suo essere e a vedere dove stia andando.
Per esempio guardiamo il quartiere dove siamo inseriti: sorge in una zona periferica di Nakuru fuori dall’anello urbano, sta nascendo e si sta formando seguendo la condizione sociale attuale keniota.
Le case in muratura circondate da alte mura difensive si piazzano senza permesso e impenetrabili ai bordi delle strade del quartiere. Dai loro cancelli in ferro sempre chiusi è difficile intravederne il cortile interno. Come moderna merlatura hanno taglienti bottiglie in vetro opportunamente rotte ed al tuo passaggio non manca l’abbaiare dei cani che fa eco.
Ma come in un ampio respiro, la skyline si apre grazie ad una casa in lamiera o in terra il cui proprietario ha recintato solamente con qualche palo e del filo di ferro. Da queste i bambini ti salutano sempre, anche se passi quattro o cinque volte al giorno. I più coraggiosi ti corrono incontro per godersi un saluto e un abbraccio. I migliori ti lasciano in ricordo sulla maglietta e tra i capelli macchie e appiccicose briciole su cui è meglio non indagare. Ma che gioia nei loro occhi.
E le scuole? Le molte scuole private sono costose e la retta fa da filtro permettendo solo a poche famiglie di mandare i propri figli. L’unica scuola pubblica (si riconosce dal fatto che è l’unica dall’aspetto decadente) è sovrappopolata anche rispetto agli standard africani.
La differenza, anzi la divisione è evidente: famiglie che iniziano ad essere benestanti si chiudono in casa e mandano i propri figli in scuole per pochi, le altre si arrangiano come possono e non tutti i figli vanno a scuola.
E così ti vedi la domenica in parrocchia la chiesa piena di gente ben vestita, che arriva in auto, prega devotamente, e magari ti lascia anche un’offerta per ingrandire o abbellire la chiesa… niente di male, no? Un po’ come nelle nostre parrocchie italiane.
Però questi pochi, che si dicono cristiani, e che stanno bene, continuano a star bene ed ad essere in pochi! Un po’ come nel mondo (e l’Italia non fa certo eccezione) dove i pochi che stanno bene continuano a stare sempre meglio e ad essere sempre più pochi.
Mi chiedo allora come stia crescendo questa società kenyota e che futuro potrà mai avere se, seguendo il modello capitalista occidentale, crea dentro se stessa divisioni economiche oltre a maturare quelle tribali che si porta dietro come valore aggiunto.
E allora mi viene da fare eco a quei pretacci che remano contro corrente, ai missionari etichettati come “comunisti”, agli ambientalisti “sovvertitori”, ai giovani del GIM che si incontrano nella preghiera: non seguiamo chi pretende di sapere ogni cosa perché spesso lui non sa proprio nulla, non perdiamoci nel circondarci di comodità e di futilità che non servono che a isolarci dagli altri e quindi anche da chi ci ama.
Giochiamoci sulle parole del Vangelo!
Ognuno seguendo il proprio essere e nel posto dove si sente chiamato… altrimenti come cavolo lo sistemiamo questo mondo. Certo non è facile, ma per iniziare basta un po’ di cristiana follia. Il resto è tutto un regalo!”
[Dalla relazione trimestrale di servizio volontario]
Un abbraccio a tutti!
Per esempio guardiamo il quartiere dove siamo inseriti: sorge in una zona periferica di Nakuru fuori dall’anello urbano, sta nascendo e si sta formando seguendo la condizione sociale attuale keniota.
Le case in muratura circondate da alte mura difensive si piazzano senza permesso e impenetrabili ai bordi delle strade del quartiere. Dai loro cancelli in ferro sempre chiusi è difficile intravederne il cortile interno. Come moderna merlatura hanno taglienti bottiglie in vetro opportunamente rotte ed al tuo passaggio non manca l’abbaiare dei cani che fa eco.
Ma come in un ampio respiro, la skyline si apre grazie ad una casa in lamiera o in terra il cui proprietario ha recintato solamente con qualche palo e del filo di ferro. Da queste i bambini ti salutano sempre, anche se passi quattro o cinque volte al giorno. I più coraggiosi ti corrono incontro per godersi un saluto e un abbraccio. I migliori ti lasciano in ricordo sulla maglietta e tra i capelli macchie e appiccicose briciole su cui è meglio non indagare. Ma che gioia nei loro occhi.
E le scuole? Le molte scuole private sono costose e la retta fa da filtro permettendo solo a poche famiglie di mandare i propri figli. L’unica scuola pubblica (si riconosce dal fatto che è l’unica dall’aspetto decadente) è sovrappopolata anche rispetto agli standard africani.
La differenza, anzi la divisione è evidente: famiglie che iniziano ad essere benestanti si chiudono in casa e mandano i propri figli in scuole per pochi, le altre si arrangiano come possono e non tutti i figli vanno a scuola.
E così ti vedi la domenica in parrocchia la chiesa piena di gente ben vestita, che arriva in auto, prega devotamente, e magari ti lascia anche un’offerta per ingrandire o abbellire la chiesa… niente di male, no? Un po’ come nelle nostre parrocchie italiane.
Però questi pochi, che si dicono cristiani, e che stanno bene, continuano a star bene ed ad essere in pochi! Un po’ come nel mondo (e l’Italia non fa certo eccezione) dove i pochi che stanno bene continuano a stare sempre meglio e ad essere sempre più pochi.
Mi chiedo allora come stia crescendo questa società kenyota e che futuro potrà mai avere se, seguendo il modello capitalista occidentale, crea dentro se stessa divisioni economiche oltre a maturare quelle tribali che si porta dietro come valore aggiunto.
E allora mi viene da fare eco a quei pretacci che remano contro corrente, ai missionari etichettati come “comunisti”, agli ambientalisti “sovvertitori”, ai giovani del GIM che si incontrano nella preghiera: non seguiamo chi pretende di sapere ogni cosa perché spesso lui non sa proprio nulla, non perdiamoci nel circondarci di comodità e di futilità che non servono che a isolarci dagli altri e quindi anche da chi ci ama.
Giochiamoci sulle parole del Vangelo!
Ognuno seguendo il proprio essere e nel posto dove si sente chiamato… altrimenti come cavolo lo sistemiamo questo mondo. Certo non è facile, ma per iniziare basta un po’ di cristiana follia. Il resto è tutto un regalo!”
[Dalla relazione trimestrale di servizio volontario]
Un abbraccio a tutti!
Gioia piena e solidarieta'
Un forte abbraccio a tutti, e una breve mail per augurarvi una buona Pasqua.
La settimana santa è iniziata per me sabato scorso quando ho tenuto il ritiro per i ragazzi e le ragazze.
Come al solito non ho avuto tempo di preparare nulla e ho improvvisato, ma ovviamente la versione ufficiale è “Non preoccuparti don Luciano, sono preparato, ho molte idee che integrerò con i ragazzi durante la mattinata di ritiro”.
Fortunatamente i ragazzi hanno partecipato molto bene, ognuno con la propria versione/confusione del Vangelo di Pasqua: c’è chi ha detto che “Pasqua è quando Gesù viene tentato nel deserto” o quando “Gesù va all’inferno a incontrare il diavolo e lo distrugge”.
Poco importa.
Ho detto loro, e lo voglio dire anche a voi, che per me Pasqua è NASCERE.
L’uomo non è un contenitore vuoto da riempire con conoscenze e idee attraverso l’educazione. L’uomo è già ricolmo dell’amore di Dio, pieno del progetto che Dio ha per lui e solo per lui. A noi la LIBERTÀ di fregarcene, restare chiusi e in un angolo per non dare troppo fastidio alla società, o scoppiare del Suo amore, aprirci con violenza e METTERCI IN GIOCO per quello che Lui ha scelto per noi.
Il Signore non potrà mai scendere dalla Croce se non Gli diamo spazio in noi, e resterà ancora lì: inchiodato ai polsi e ai piedi, affamato e sanguinante, con una corona di spine alla testa e un soldato che lo prende in giro con dell’aceto…
A tutti voi una felice Pasqua di gioia piena di solidarieta’!
Buona vita a tutti!
Gianpietro
La settimana santa è iniziata per me sabato scorso quando ho tenuto il ritiro per i ragazzi e le ragazze.
Come al solito non ho avuto tempo di preparare nulla e ho improvvisato, ma ovviamente la versione ufficiale è “Non preoccuparti don Luciano, sono preparato, ho molte idee che integrerò con i ragazzi durante la mattinata di ritiro”.
Fortunatamente i ragazzi hanno partecipato molto bene, ognuno con la propria versione/confusione del Vangelo di Pasqua: c’è chi ha detto che “Pasqua è quando Gesù viene tentato nel deserto” o quando “Gesù va all’inferno a incontrare il diavolo e lo distrugge”.
Poco importa.
Ho detto loro, e lo voglio dire anche a voi, che per me Pasqua è NASCERE.
L’uomo non è un contenitore vuoto da riempire con conoscenze e idee attraverso l’educazione. L’uomo è già ricolmo dell’amore di Dio, pieno del progetto che Dio ha per lui e solo per lui. A noi la LIBERTÀ di fregarcene, restare chiusi e in un angolo per non dare troppo fastidio alla società, o scoppiare del Suo amore, aprirci con violenza e METTERCI IN GIOCO per quello che Lui ha scelto per noi.
Il Signore non potrà mai scendere dalla Croce se non Gli diamo spazio in noi, e resterà ancora lì: inchiodato ai polsi e ai piedi, affamato e sanguinante, con una corona di spine alla testa e un soldato che lo prende in giro con dell’aceto…
A tutti voi una felice Pasqua di gioia piena di solidarieta’!
Buona vita a tutti!
Gianpietro
Giornata di relax... me ne vado a Nyaururu
Il matatu impiega quasi un ora e mezza per arrampicarsi lungo la strada che da Nakuru sale verso le montagne vicine costeggiando i crateri spenti milioni di anni fa.
Arrivato, seguo le indicazioni per le Thompson Falls che dicono valga la pena vedere. Penso tra me che, essendo ormai alla fine di una lunga stagione secca, non è certo il tempo migliore per vedere le cascate, comunque mi lascio vincere dalla curiosità ed eccomi all’inizio del sentiero per le cascate.
L’ingresso costa 50 scellini per i residenti, 200 per i wazungu (noi bianchi). Credo sia una piccola ma giustificabile rivincita africana per la colonizzazione del secolo scorso e per lo sfruttamento economico attuale, comunque pago con un certo nervosismo e mi avvio lungo il sentiero.
Un ragazzo mi ferma chiedendomi se ho bisogno di una guida. Gli rispondo sgarbatamente di non preoccuparsi, penso di trovare da solo le cascate.
Seguo il sentiero e scendo fino al fondo valle, dove l’acqua si schianta con fragore contro le rocce. Resto per un po’ ad ammirare questa piccola meraviglia, cercando anche di stimare l’altezza delle cascate misurando il tempo di caduta dell’acqua (certe volte l’io ingegneristico non vuole proprio stare calmo e mi tocca assecondarlo!).
Risalgo il crinale e decido di seguire il sentiero che accompagna in quota il costone della valle spingendosi attraverso le montagne vicine.
Attraversando prati per il pascolo e piccoli appezzamenti ordinatamente piantumati per il rimboschimento, mi allontano sempre più dalla città fino a quando arrivo ad un bivio. Non avendo la minima idea dove porti uno piuttosto che l’altro sentiero, scelgo la sinistra (perché nel dubbio, sempre a sinistra).
Scavalco la collina ed ecco un’immagine tanto forte quanto l’odore che ne fa da cornice: il profilo dell’orizzonte non è più verde e definito da pascoli e boschi, ma continua delineato da mucchi e mucchi di rifiuti.
Il fumo che ne sale è tanto caldo quanto odioso.
Non so perché ma ho fermato i miei passi e resto a guardare.
Di lì a poco sento chiamare “Mzungu. Mzungu. How are you?”
A fatica riesco a distinguere tra i mucchi di rifiuti il ragazzo che mi ha chiamato, dopo di lui molti altri ragazzi gli fanno eco. Saltano fuori tra copertoni e stracci, taniche e bidoni arrugginiti, trascinando sulle proprie spalle un sacco contenente il “raccolto” della mattinata.
Per un ragazzo di dodici anni, questa condizione non è giusta! Non è giusta!!
Una crepa di rabbia mista dolore mi taglia il cuore.
Faccio il segno della Croce e chiedo al Signore perdono per i miei peccati che ogni giorno causano questa ingiustizia.
Possa davvero far nascere nel mio e nei nostri cuori tanta rabbia per le prepotenze e un immenso amore per il prossimo. Perché possa venire presto il Suo regno, come in cielo così in terra.
Arrivato, seguo le indicazioni per le Thompson Falls che dicono valga la pena vedere. Penso tra me che, essendo ormai alla fine di una lunga stagione secca, non è certo il tempo migliore per vedere le cascate, comunque mi lascio vincere dalla curiosità ed eccomi all’inizio del sentiero per le cascate.
L’ingresso costa 50 scellini per i residenti, 200 per i wazungu (noi bianchi). Credo sia una piccola ma giustificabile rivincita africana per la colonizzazione del secolo scorso e per lo sfruttamento economico attuale, comunque pago con un certo nervosismo e mi avvio lungo il sentiero.
Un ragazzo mi ferma chiedendomi se ho bisogno di una guida. Gli rispondo sgarbatamente di non preoccuparsi, penso di trovare da solo le cascate.
Seguo il sentiero e scendo fino al fondo valle, dove l’acqua si schianta con fragore contro le rocce. Resto per un po’ ad ammirare questa piccola meraviglia, cercando anche di stimare l’altezza delle cascate misurando il tempo di caduta dell’acqua (certe volte l’io ingegneristico non vuole proprio stare calmo e mi tocca assecondarlo!).
Risalgo il crinale e decido di seguire il sentiero che accompagna in quota il costone della valle spingendosi attraverso le montagne vicine.
Attraversando prati per il pascolo e piccoli appezzamenti ordinatamente piantumati per il rimboschimento, mi allontano sempre più dalla città fino a quando arrivo ad un bivio. Non avendo la minima idea dove porti uno piuttosto che l’altro sentiero, scelgo la sinistra (perché nel dubbio, sempre a sinistra).
Scavalco la collina ed ecco un’immagine tanto forte quanto l’odore che ne fa da cornice: il profilo dell’orizzonte non è più verde e definito da pascoli e boschi, ma continua delineato da mucchi e mucchi di rifiuti.
Il fumo che ne sale è tanto caldo quanto odioso.
Non so perché ma ho fermato i miei passi e resto a guardare.
Di lì a poco sento chiamare “Mzungu. Mzungu. How are you?”
A fatica riesco a distinguere tra i mucchi di rifiuti il ragazzo che mi ha chiamato, dopo di lui molti altri ragazzi gli fanno eco. Saltano fuori tra copertoni e stracci, taniche e bidoni arrugginiti, trascinando sulle proprie spalle un sacco contenente il “raccolto” della mattinata.
Per un ragazzo di dodici anni, questa condizione non è giusta! Non è giusta!!
Una crepa di rabbia mista dolore mi taglia il cuore.
Faccio il segno della Croce e chiedo al Signore perdono per i miei peccati che ogni giorno causano questa ingiustizia.
Possa davvero far nascere nel mio e nei nostri cuori tanta rabbia per le prepotenze e un immenso amore per il prossimo. Perché possa venire presto il Suo regno, come in cielo così in terra.
...
Sera di marzo. Il 17 per essere preciso, giornata dedicata a San Patrizio, e qualcuno ne starà approfittando per vendere più pinte di Guinness del solito.
Qui, in camera, sono al termine dell’ennesima giornata senza pioggia, con il suo tardare sembra voglia misurare la speranza di questa gente.
Ma è proprio in questi momenti di silenzio e di stanchezza che si fa più forte il credo nel Signore. In quel Signore vagabondo lungo le strade della Galilea.
In quel Signore coi sandali ai piedi, come i nostri ragazzi.
In quel Signore lontano da casa, da qualcuno accolto, da molti temuto, e da altri giustiziato.
Questa sera non me la sento di chiedergli la pioggia, perché Lui sa meglio di noi ciò di cui questo popolo ha bisogno.
Come questa terra ha sete di pioggia e si apre in lunghe crepe, si abbandona al vento che ne alza la polvere in lunghe colonne di aria calda come una preghiera al cielo ancora avaro di acqua.
Così questa gente ha sete di giustizia, quella equa, quella cristiana. Ma purtroppo nulla può contro un muro di corruzione all’interno del paese, una rete di paura sociale in cui si è intrappolata, e un muro ancora più alto che la tiene lontana dal benessere occidentale.
Ridendo e scherzando con i ragazzi, mi chiedo come si sentirebbero se vedessero, al di là di una parete di vetro, la vita di un ragazzo della loro età in Italia. Immagino che , dopo una ventina di minuti immobili con occhi e bocca spalancati, inizierebbero a incazzarsi e a domandarsi il perché “Lui si ed io no”.
E i ragazzi, questi che vengono dalla strada, sono davvero sgamati e sarebbe difficile intortarli con la balla che il nostro benessere è frutto di un diverso processo storico e promettendo che anche loro in Africa potranno raggiungere il nostro benessere sociale.
BALLE!!
Dati alla mano (tutti possono collegarsi e accedere ai siti ufficiali, anziché bruciare il proprio tempo con il grande fratello di facebook…) sappiamo che i nostri fratelli africani, sudamericani, indiani che vivono nella povertà estrema non potranno rispondere ai propri bisogni di cibo e acqua se prima un occidentale non si priverà delle propri comodità.
Allora, questa sera, la mia preghiera al Signore e' perché ogni povero possa sfamarsi di giustizia smettendo di continuare a vivere nell’illusione che un giorno, su questa Terra, lui potrà vivere come un fratello occidentale.
Qui, in camera, sono al termine dell’ennesima giornata senza pioggia, con il suo tardare sembra voglia misurare la speranza di questa gente.
Ma è proprio in questi momenti di silenzio e di stanchezza che si fa più forte il credo nel Signore. In quel Signore vagabondo lungo le strade della Galilea.
In quel Signore coi sandali ai piedi, come i nostri ragazzi.
In quel Signore lontano da casa, da qualcuno accolto, da molti temuto, e da altri giustiziato.
Questa sera non me la sento di chiedergli la pioggia, perché Lui sa meglio di noi ciò di cui questo popolo ha bisogno.
Come questa terra ha sete di pioggia e si apre in lunghe crepe, si abbandona al vento che ne alza la polvere in lunghe colonne di aria calda come una preghiera al cielo ancora avaro di acqua.
Così questa gente ha sete di giustizia, quella equa, quella cristiana. Ma purtroppo nulla può contro un muro di corruzione all’interno del paese, una rete di paura sociale in cui si è intrappolata, e un muro ancora più alto che la tiene lontana dal benessere occidentale.
Ridendo e scherzando con i ragazzi, mi chiedo come si sentirebbero se vedessero, al di là di una parete di vetro, la vita di un ragazzo della loro età in Italia. Immagino che , dopo una ventina di minuti immobili con occhi e bocca spalancati, inizierebbero a incazzarsi e a domandarsi il perché “Lui si ed io no”.
E i ragazzi, questi che vengono dalla strada, sono davvero sgamati e sarebbe difficile intortarli con la balla che il nostro benessere è frutto di un diverso processo storico e promettendo che anche loro in Africa potranno raggiungere il nostro benessere sociale.
BALLE!!
Dati alla mano (tutti possono collegarsi e accedere ai siti ufficiali, anziché bruciare il proprio tempo con il grande fratello di facebook…) sappiamo che i nostri fratelli africani, sudamericani, indiani che vivono nella povertà estrema non potranno rispondere ai propri bisogni di cibo e acqua se prima un occidentale non si priverà delle propri comodità.
Allora, questa sera, la mia preghiera al Signore e' perché ogni povero possa sfamarsi di giustizia smettendo di continuare a vivere nell’illusione che un giorno, su questa Terra, lui potrà vivere come un fratello occidentale.
Pillole di Africa (*)
(*) Inizio oggi questa nuova serie di pillole. Sono brevissimi racconti dei piccoli accadimenti quotidiani o occasionali, veloci scambi di opinioni, botta e risposta spiazzanti che ogni volta mi hanno sbattuto in faccia la realtà keniota (e forse anche africana).
Ad ognuno costruire il proprio pensiero.
P001) L’insegnate di kiswahili: “Sai, non è bene usare il padre missionario negli esempi di grammatica. È ad un livello superiore al nostro. Metti che un giorno vuole controllare il tuo quaderno e vede che l’hai usato in alcune frasi. Beh, cosa potrebbe pensare?”
P002) Uno dei nostri educatori, ritenuto il più valido nell’organizzare e nel seguire le attività di agricoltura e di allevamento, osservando da lontano e con sguardo pensoso la pecora che aveva appena partorito, mi confida: “Sai Jan, se avessi dovuto scegliere tra tutte le nostre pecore, avrei detto che proprio quella non era in cinta”.
P003) Il nostro educatore mi conferma che non è bello usare persone di un livello superiore nelle frasi esempi di grammatica.
P004) La puntualità non esiste. Solamente Dominic l’elettricista rispetta l’orario. Peccato che sia sempre un giorno in ritardo
Ad ognuno costruire il proprio pensiero.
P001) L’insegnate di kiswahili: “Sai, non è bene usare il padre missionario negli esempi di grammatica. È ad un livello superiore al nostro. Metti che un giorno vuole controllare il tuo quaderno e vede che l’hai usato in alcune frasi. Beh, cosa potrebbe pensare?”
P002) Uno dei nostri educatori, ritenuto il più valido nell’organizzare e nel seguire le attività di agricoltura e di allevamento, osservando da lontano e con sguardo pensoso la pecora che aveva appena partorito, mi confida: “Sai Jan, se avessi dovuto scegliere tra tutte le nostre pecore, avrei detto che proprio quella non era in cinta”.
P003) Il nostro educatore mi conferma che non è bello usare persone di un livello superiore nelle frasi esempi di grammatica.
P004) La puntualità non esiste. Solamente Dominic l’elettricista rispetta l’orario. Peccato che sia sempre un giorno in ritardo
Iscriviti a:
Post (Atom)