Karamoja, tardo pomeriggio di una domenica piatta e calma sotto un sole che non risparmia nessuno. Qualcuno chiama dal cancello, è il chairman della sottocontea che cercando di riprendere fiato, ci spiega che all’ambulatorio è appena arrivato un ragazzo per una ferita grave ed è necessario portarlo all’ospedale. Saliamo immediatamente sulla jeep e andiamo all’ambulatorio. Una piccola folla ci aspetta nel piazzale e si avverte un pò di tensione.
Il ragazzo ha una ferita da taglio sopra l’addome, un’accoltellata mi dicono. Il dottore, a parte pulire e tamponare la ferita non può fare altro. È necessario portarlo all’ospedale, ad una quarantina di chilometri di pista battuta alla meglio. L’orario non è dei migliori, al crepuscolo sale il rischio di imboscate. L’altra volontaria (che detto tra noi, per anzianità dovrebbe essere la mia responsabile) non mi dice nè di aspettare nè di andare, ma semplicemente “io non lo porto, vedi tu cosa fare”. Il chairman, il dottore, il ferito e le altre persone aspettano.
Chiamo da parte il chairman e discuto con lui sulla sicurezza del viaggio, lui mi rassicura dicendomi che ultimamente non ci sono stati episodi di rapina. Lo stesso mi dice uno dei nostri collaboratori che, da semplice curioso, osservava le dinamiche di quella domenica.
Accetto di portare il ragazzo all’ospedale, a patto che qualcuno vada a chiamare il poliziotto che c’è di turno alla stazione e lo convinca a partire con noi. Dopo una decina di minuti il ragazzo ferito, un nostro collaboratore, il poliziotto ed io partiamo per l’ospedale. All’interno della jeep si sente subito un forte odore di alcool provenire dal poliziotto... è chiaro che abbiamo interrotto il festeggiamento di qualcosa, mentre è dubbio che in quello stato possa usare il fucile che si porta a tracolla.
Così dopo i primi chilometri di scossoni per le buche che non sono riuscito ad evitare, all’interno dell’abitacolo si accende subito una duplice competizione. La prima tra l’odore di disinfettante che impregna le garze e l’odore di alcool provenire dal poliziotto. L’imparità è subito evidente e scommetto sul poliziotto vincente 3 a 1. La seconda gara è invece più avvincente. Da una parte i lamenti del ferito: una litania continua rotta da acute urla ogni qualvolta centro involontariamente una buca. Dall’altra la voce del poliziotto, il quale, preso dai vapori dell’alcool, ci vuole a tutti i costi raccontare la sua domenica e non sembra rinunciare a questo suo nuovo scopo di vita. Così parla e parla alzando sempre più il tono di voce in modo da coprire il forte rumore del vecchio motore della jeep, la radio e le urla del ferito.
In tutto questo il nostro collaboratore se ne esce ogni tanto con una domanda, facendo l’offeso se gli chiedo per due o tre volte di ripetere perchè non sono riuscito a capire cosa ha detto.
Non ci resta che piangere... o non ci resta che sorridere. A cosa serve arrabbiarsi per questa Africa che non arriva a rispondere ai bisogni primari della maggiorparte della sua gente, un ospedale a un’ora di distanza con il rischio di imboscate, un polizziotto ubriaco come scorta, una buca ogni metro e una vecchia Toyota che fa fatica a salire di giri.
Perchè non provare a sorridere con ironia a ciò che, facendoci arrabbiare, ci rovina le giornate. A quello che non possiamo cambiare anche se lo volessimo, anche a ciò che ci ha fatto soffrire. Va bene provare dolore, ma poi è necessario anche trasformarlo e superarlo nell’ironia. Le incomprensioni. Le cattive parole. Le frasi dure. La fine di qualcosa che ci rendeva felici. Ogni evento ha un lato ironico, e credo che per viverlo nella sua pienezza sia utile anche riderci sopra con un pò di ironia e di intelligenza (per l'ironia ci posso provare, ma per l'intelligenza non ho molte carte da giocare)
Quella sera riuscimmo ad arrivare all’ospedale e a ricoverare il ragazzo. Il dottore ci chiese preoccupato se volevamo lasciare in reparto anche il poliziotto in modo che smaltisse la sbronza. Gli risposi che fintanto che teneva la sicura al fucile e non vomitava sui sedili, il poliziotto poteva rientrare con noi.
Grazie...
... a quelli che partono con la voglia di stare, a quelli che vivono il Vangelo prima di predicarlo,
a quelli che non smetteranno mai di sognare, a quelli che l'Amore è solo con la maiuscola,
a quelli che si accettano come sono, a quelli che piangono ad ogni partenza,
a quelli che Africa e Gioia si confondono ogni giorno, a quelli che vivono di emozioni,
a quelli che non smettono di camminare, a quelli che non si abbandonano mai,
a quelli che pregano, a quelli che sul piedistallo non ci vogliono stare, a quelli che Dio non è morto,
a quelli che si vive anche senza moda, a quelli che pensano con il cuore,
a quelli che non scelgono per comodità, a quelli che soffrono e poi ti guardano negli occhi più ricchi di prima,
...e anche a quelli che "Gianpi ci hai rotto con questi ringraziamenti"