Grazie...

... a quelli che partono con la voglia di stare, a quelli che vivono il Vangelo prima di predicarlo,
a quelli che non smetteranno mai di sognare, a quelli che l'Amore è solo con la maiuscola,
a quelli che si accettano come sono, a quelli che piangono ad ogni partenza,
a quelli che Africa e Gioia si confondono ogni giorno, a quelli che vivono di emozioni,
a quelli che non smettono di camminare, a quelli che non si abbandonano mai,
a quelli che pregano, a quelli che sul piedistallo non ci vogliono stare, a quelli che Dio non è morto,
a quelli che si vive anche senza moda, a quelli che pensano con il cuore,
a quelli che non scelgono per comodità, a quelli che soffrono e poi ti guardano negli occhi più ricchi di prima,
...e anche a quelli che "Gianpi ci hai rotto con questi ringraziamenti"

Da che parte decidiamo di stare?

Tre anni in Africa. Arrivato nel maggio 2007 in Uganda, mi sono poi spostato in Kenya nel novembre 2008 per poi starvi fino al luglio 2010. Spero sia comprensibile la difficoltà che provo nello scrivervi quanto vissuto ...inizio a raccontarvi di cosa mi occupavo, nella speranza che poi le parole seguino i pensieri e ci portino insieme a respirare ancora un pò di Africa. Un profumo che inizia già a mancarmi.

Prima in Karamoja (nord-est ugandese) inserito in un progetto ministeriale per lo sviluppo delle comunità rurali, mi traferii poi a Nakuru (per popolazione quarta o quinta città del Kenya; ovviamente per chi ci abita è la quarta, ma visto che siamo in Africa, nessuno lo può confermare con certezza). A Nakuru ci arrivai grazie all’UMMI e alla richiesta di don Luciano, missionario calabriano, che già si trovava a Nakuru da un anno e mezzo, per prestare aiuto volontario alle attività sociali da lui gestite. In linea con il carisma calabriano, le attività erano mirate all’assistenza dei ragazzi emarginati dalla società. Cosa che a Nakuru si traduce in assistenza a beneficio di ragazzi di strada e di ragazze vittime di maltrattamenti e abusi sessuali. Infatti, nonostante Nakuru conti numerose banche, scuole pubbliche e private, ospedali e cliniche, l’assistenza sociale pubblica è ancora povera in termini di organizzazione e di strutture (ma non in termini di fondi, come nella migliore contraddizione africana).
Obbiettivo di queste attività di assistenza, coordinate sotto l’associazione “Welcome to the Family”, è di andare incontro ai bisogni dei ragazzi. Ci sono tre centri, uno diurno mentre gli altri residenziali, in cui i ragazzi accolti...
...di esperienze ne potete leggere quante ne volete su riviste missionarie e articoli pubblicati da organismi non governativi, altri ancora nella rete curiosando tra blogs e portali di informazione. Soprattutto mentre ci si avvicina al periodo natalizio.
Allora cosa c’è di nuovo in questi miei tre anni? Che significato dare alle parole volontariato, aiuto, cooperazione dopo questi tre anni? Se ogni relazione nasce da un incontro per poi maturare nel tempo, allora dove mi ha condotto questo legame con l’Africa?
La strada percorsa quotidianamente mi ha condotto verso progetti positivi e negativi, insieme a persone che credono nel costruire un mondo migliore, e altre che si trovano in Africa perchè in Italia si sentono disadattate. Tra attività nate per l’aiuto all’altro e altre solamente per l’autofinanziamento. E in tutto questo il senso del fare volontariato, dell’operare per la pace e lo sviluppo, si mescola con professionalità fine a se stessa. Ed il popolo africano lì che osserva, accogliendo tutti: chi partito per amore per gli altri, e chi per amore di sè.
Ma parliamoci chiaro: che senso ha oggi operare in contesti di povertà? Perchè ci sono ancora operatori che vedono nell’assistenzialismo un aiuto per l’Africa? Provato sulla mia pelle, l’aiuto al povero non è dentro un buonismo paternalista e cieco (in cui se riflettiamo è la nostra generosità ad essere al centro della relazione di aiuto, e non i bisogni e le capacità dell’oppresso). Non è nemmeno in un intervento stabilito a priori e che replica attività di assistenza da un contesto ad un altro. La relazione di aiuto, punto di partenza e direzione del mettersi in gioco con e per l’altro, vive e respira nel nostro metterci da parte non appena mettiamo piede in terra africana. Cresce nel nostro vivere l’umiltà con ogni parola e con ogni gesto. Si fa vera nel momento in cui poniamo con radicalità l’oppresso unico protagonista del suo processo di liberazione. Non la nostra progettualità ma la sua. Non i nostri bei discorsi e prediche, ma le sue idee e le sue mani.
Se queste mie parole sono un risveglio troppo forte, vi lascio con quelle papali dell’enciclica Ad Gentes, con l’invito da cristiano a cristiano di riprenderla e rileggerla.

Tutti i cristiani sono tenuti a manifestare con l’esempio della loro vita e con la testimonianza della loro parola l’uomo nuovo. […] Ma perché essi possano dare utilmente questa testimonianza, debbono stringere rapporti di stima e di amore con questi uomini e dimostrarsi membra vive di quel gruppo umano […] improntare le relazioni con essi ad un dialogo sincero e comprensivo, dimostrando tutte le ricchezze che Dio ha dato ai popoli. [Ad Gentes, 11]

Se c’è ancora qualche dubbio e ritenete che l’Africa ha assolutamente bisogno della guida e della supervisione bianca altrimenti “non lavora”, beh... forse avete ragione voi. Infondo così sarebbe più comodo per tutti, specialmente per chi, bianco, arriva in Africa e viene messo sul piedistallo sociale come guida della comunità (senza alcun merito). La storia ha davvero insegnato il contrario, ma forse non ancora abbastanza. Forse siamo ancora troppo legati alle nostre comodità per non svegliarci davvero ammettendo che la loro povertà permette il nostro benessere. Lo sappiamo tutti ma costa dichiararlo. Possiamo inquinare e consumare acqua ed energia quanto vogliamo fintanto che nessuno educhi il povero ad avere coraggio, conoscenza e forza di alzare la testa per reclamare i propri diritti.

E finchè non riusciremo a comprendere e a vivere com-passione insieme al popolo africano sapendo metterci da parte, allora la povertà dell’Africa siamo noi.